10 DOMANDE A FRANCESCO ORMANDO. IL FASCINO DELL’AMBIGUO

Di Chiara Sandonato

Tempo di lettura: 3 minuti

Francesco Ormando ha 31 anni, vive a Roma e inizia la sua storia d’amore con la fotografia 11 anni fa’. Negli scatti di Francesco, amante del ritratto e della fotografia di moda, non c’è spazio per il “bello aproblematico“. Grazie alla sua capacità visionaria e narrativa, che guarda ben oltre gli stereotipi di bellezza canonica e lineare, le immagini del fotografo romano sono popolate da lentiggini, occhi a mandorla, corpi androgini, volti nascosti e sguardi intensi; animate da una straordinaria freschezza, esprimono una ricerca estetica minuziosa del particolare, dello stravagante e dell’ambiguo.

Bruciamo una delle nostre preziose domande con un incipit un po’ banale ma necessario: Francesco Ormando e la fotografia. Come? Da quando e perché? Raccontaci il tuo percorso e il tuo amore per l’obiettivo.

Ok, cominciamo! Mi piace questa prima domanda. 

Tutto è iniziato 11 anni fa, in un lontanissimo 2009, durante il mio ultimo anno di liceo. Ero andato alla mostra fotografica di un’amica che aveva cominciato a scattare da poco e lì ho avuto una rivelazione. O meglio: una terribile fitta di gelosia. Fino ad allora non avevo mai messo in conto che la fotografia potesse essere la mia strada: al tempo il mio più grande sogno era quello di scrivere. Poi, guardando le foto alle pareti, ho avuto una scissione: da un lato ero felice per lei, dall’altro sentivo che anch’io avrei voluto raccontare qualcosa attraverso le immagini, urgentemente, come se fino a quel momento avessi soltanto perso tempo. Non so se si tratti dell’inizio più edificante di una carriera, ma è andata così. Da quel momento continuo a calcare quella strada e la fotografia è diventata il mio lavoro: è stato un percorso meraviglioso e, come tutte le storie d’amore, non privo di difficoltà

Francesco Ormando, White poppy blossom // work for IED Roma, 2018

L’essere umano sembra essere il tuo territorio prediletto, declinato in mille modi, colori e ambienti. In alcuni ritratti i soggetti sembrano addirittura attraversare l’obiettivo con uno sguardo estremamente vivo e inteso. Come scegli i tuoi modelli e cosa cerchi nei volti/corpi delle persone?

Si. Il mio genere preferito è il ritratto. Non potrebbe essere altrimenti: caratterialmente sono una persona molto espansiva e tutta la mia energia viene dal rapporto con gli altri. 

Francesco Ormando, Bunny boy

Durante uno shooting penso di bruciare centinaia di calorie l’ora: mi piace dare corpo a un’idea attraverso volti e corpi che non siano il mio. Mi piace conoscere le persone che fotografo, creare un rapporto d’empatia tale che lasci ai soggetti la possibilità di capire e interpretare quello che mi ronza per la testa. 

Francesco Ormando, Demetra, 2018

La parte banale delle risposte forse arriva qui: mi piacciono i volti non canonici. Amo l’ambiguità dei volti androgini e, quando faccio casting, quasi inconsciamente, seguo questa linea estetica. 

Ti è capitato di ritrarre modelle, attori e cantanti famosi, da Matilda De Angelis a Leo Gassman, a Cristiano Caccamo. Cosa si prova a ritrarre qualcuno che vedi in televisione o ascolti alla radio? Come interagisci con questi personaggi? 

Fotografare una persona famosa è diverso, ma solo il tempo che inizi lo shooting. L’urgenza di conoscerla e portare un buon risultato a casa assottiglia molto le formalità e mi muovo come al mio solito dopo i primi 10 minuti. 

Francesco Ormando, Matilda
Francesco Ormando, Cristiano Caccamo

Come ti inserisci nel mondo della moda? Hai lavorato per alcune importanti firme: è questo il campo in cui più ti rispecchi? 

Il mondo della moda mi piace molto: è l’unico che mi permette di espandere i confini del ritratto, allargando materialmente l’inquadratura (spesso trovo il ritratto limitante, ma non essere nella location adeguata non permette altro) ed espandendo gli orizzonti narrativi delle foto: aumentando le suggestioni in gioco tra trucco, parrucco, abiti. 

Francesco Ormando, Matteo non c’è, 2020

La fotografia nel cinema sarebbe stupenda; da poco ho realizzato le foto di scena di un videoclip e sono molto contento del risultato: solo che il regista non ero io, ecco. 

Francesco Ormando, Parisian Tale

Nel mondo della moda è più facile che oltre al ruolo di fotografo io rivesta anche quello di art director e molte delle scelte del set dipendono da me, o quantomeno dal confronto tra quello che piace a me e la stylist, il soggetto, etc…

Sono rimasta colpita da una tipologia particolare di lavoro che ho scovato nel tuo portfolio: i racconti di una storia in immagini. Come si fa a tradurre un romanzo intero in fotografia e a trasmettere tutte le emozioni di una narrazione? 

Il lavoro che ti ha colpito tanto è uno di quelli a cui sono più affezionato. Si tratta di un progetto lungo commissionato per sponsorizzare un romanzo alla fiera del libro di Torino di due anni fa. Lo scrittore mi ha chiesto di tradurre il romanzo in immagini. Mi ha regalato una copia del libro e mi ha lasciato carta bianca per 6 mesi: si tratta dell’unico progetto lungo che abbia mai realizzato. Di solito i miei editoriali hanno un ciclo vitale decisamente più breve: la loro vita si esaurisce in una settimana, tra progettazione, realizzazione ed editing delle immagini. 

Francesco Ormando, Una storia quasi solo d’amore

È stata una bella occasione ed una bella sfida: mi ha costretto a lavorare in modo diverso, più ponderato. Ho letto il libro 3 volte prima di capire come affrontare la realizzazione fotografica. Non potendo raccontare l’intero romanzo in modo didascalico (non dovevo mica fare un fotoromanzo?!) ho dovuto raccontare quello che il romanzo aveva suscitato in me, raccogliendo tutte le suggestioni al suo interno: così ho deciso di realizzare dei collage. Volevo che chi guardasse le foto le percepisse come tanti frame di un unico film o le diverse parti di un album familiare. Il romanzo in questione è Una storia quasi solo d’amore di Paolo di Paolo. 

Francesco Ormando, 25 aprile 2020 / Q u a r a n t e n a

Ti definisci un artista? Quando un fotografo diventa tale? 

Un artista? Beh. È difficilissimo autodefinirsi già normalmente. Figuriamoci un artista. 

È stato persino piuttosto complicato per me superare la “sindrome dell‘impostore”: all’inizio era impossibile accettare l’idea di essere pagato per una cosa che mi piaceva e mi veniva così naturale, senza sentirmi sempre un po’ in colpa. 

Penso che l’obiettivo primario di un artista sia quello di comunicare: se quello che fa si riduce ad un esercizio di stile, seppur bello, il risultato è sterile, dimenticabile. Un’opera d’arte deve superare il vaglio del tempo: se dopo 50 o 100 anni non ha perso la sua capacità di comunicare, emozionare, suggestionare, allora è Arte. 

Francesco Ormando, Quarantena / day 26

La situazione più difficile o imbarazzante che hai vissuto in tutta la tua carriera? 

Una volta una modella che non mangiava da giorni ha avuto una crisi di pianto sul set. Mi sono improvvisato animatore turistico, letteralmente, e l’ho sfangata. Questo è stato il massimo. Poi sono stato sempre fortunato. 

In quale epoca ti sarebbe piaciuto vivere e perché? 

Mood “Midnight in Paris”, eh? Vediamo.. A dire la verità non c’ho mai pensato. Se potessi davvero farlo forse mi piacerebbe ritrovarmi nella Chicago degli anni ’50 insieme a Vivian Maier: ho conosciuto pochi anni fa il suo lavoro e me ne sono innamorato. 

Quindi si, seguirei Vivian Maier e un giorno, chissà, proverei a conoscerla. 

Francesco Ormando, Irene Vetere

Di cosa ti stai occupando in questo momento? Hai sfruttato il periodo di quarantena per lavorare a qualche progetto in particolare? 

La quarantena è stata fruttuosa, almeno all’inizio: la voglia di creare mi ha permesso di non perdere il ritmo lavorativo. Ho allestito set improvvisati e sono stato molto più indulgente nella scelta estetica del materiale da produrre. Non era importante avere i soggetti giusti, ma raccontare un periodo. Testimoniare dei luoghi e lasciarmi un ricordo per il futuro di questa strana fase della nostra vita. Poi le energie sono calate anche a me: la mia forza viene dal confronto con gli altri e due mesi chiuso in casa si fanno sentire. 

Francesco Ormando, Jacopo

Il tuo sogno nel cassetto?

Un sogno nel cassetto… Beh, la quarantena ha ristretto un po’ il panorama dei miei “sogni in grande”, quindi il mio sogno per il momento è un futuro di stabilità lavorativa, nuove avventure e crescita professionale. Chissà, magari fuori dall’Italia. 

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