ART SHARER: GLI INFLUENCER DELL’ARTE. INTERVISTA A CAMILLA BRUNI AKA UNA CAMILLA CONTEMPORANEA

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Il mese scorso abbiamo parlato con Giusy Vena – Less is Art della figura dell’art sharer e del variegato mondo della divulgazione digitale dell’arte.

ABBIAMO FATTO UN PASSO AVANTI

Ogni art sharer ha un modo diverso di promuovere l’arte sui social; allora perché intervistarne un* sol*? Abbiamo fatto qualche domanda ad alcuni degli account del settore più seguiti su Instagram per entrare più nel dettaglio di questo nuovo modo di valorizzare i beni culturali.

UNA CAMILLA CONTEMPORANEA

Da marzo 2020 divulga arte contemporanea in modo appassionato su Instagram (1.450 followers), TikTok (circa 1.200 followers), Facebook e Twitter. Stiamo parlando di Camilla Bruni, meglio nota al pubblico come Una Camilla Contemporanea.

Laureata in Beni Culturali e Turismo, si definisce un’appassionata d’arte contemporanea che ha voglia di condividere la sua passione con gli altri. Questo suo trasporto, unito al carisma, hanno reso i suoi giovanissimi account un punto di riferimento per i curiosi come noi.

Si comincia!

Benvenuta Camilla! Una Camilla Contemporanea è da pochissimo sui social, eppure ha già tanto seguito. Ma com’è nato il tuo progetto?

Grazie a voi per avermi invitata!

A marzo 2020 – in piena emergenza sanitaria – ho deciso di aprire un account Instagram per raccontare l’arte contemporanea in modo semplice e – spero – poco noioso. Era da tempo che mi balenava in mente quest’idea e il lockdown si è rivelato la situazione ideale che mi ha fatto pensare «Ok, ci provo».

Dopo circa un mese, ho deciso di scaricare TikTok per seguire i profili di altri creator di contenuti educativi che già conoscevo, ma anche per scoprirne di nuovi. È bastato qualche giorno affinché decidessi di pubblicare il mio primo video sulla piattaforma. Di recente, ho deciso di aprire un blog e di approdare anche su Twitter.

Twitter è noto per la laconicità dei cinguettii. Come si divulga arte con 280 caratteri?

Secondo me, non è semplice creare contenuti educativi su qualsiasi social network, perché ognuno di essi ha il proprio linguaggio e le proprie regole cui il creator deve attenersi per poter svolgere bene il suo lavoro. Io creo contenuti anche su Twitter perché è un social che, proprio a causa di questo suo limite, permette di fare una cosa che, personalmente, adoro fare anche nella vita reale: polemizzare – sempre con toni scherzosi, ovviamente. Devo aggiungere che creare video su TikTok mi ha un po’ aiutato a sviluppare una certa capacità di sintesi.

Ti ripropongo la stessa domanda che ho posto a Giusy Vena – Less is Art: il mondo dell’arte e della cultura ha bisogno della figura dell’art sharer? Il suo ruolo può davvero spingere verso una nuova e prolifica forma di valorizzazione del patrimonio culturale italiano?

Assolutamente sì. Fortunatamente, gli art sharers sono in continuo aumento e cercano spesso di collaborare tra loro per trasmettere le proprie conoscenze a più utenti possibili. D’altronde, l’arte è per tutti – o almeno, dovrebbe esserlo – e il digitale aiuta tantissimo per riuscire a concretizzare questo concetto. L’art sharer può creare curiosità e interesse nei confronti di un qualsiasi prodotto o servizio che faccia parte del mondo dell’arte, sia che si tratti dell’ingresso in un museo che della vendita di un libro. Certo è che, per far questo, c’è bisogno che si instauri un rapporto di fiducia con i followers.

Ben vengano le collaborazioni tra art sharers e istituzioni culturali, ma alla condizione di non cadere in una politica di puro marketing che rischia di sovrastare l’interesse culturale che c’è alla base.

Il modo di raccontare l’arte sta davvero cambiando? Potrà evolversi in qualcosa di diverso, o resterà legata agli stilemi che la incardinano all’immagine stereotipata del salotto elitario?

Credo che non ci sia una risposta univoca. Sicuramente, il modo di raccontare l’arte sta cambiando, soprattutto dall’avvento del digitale – che in questo settore ha contribuito a smantellare una concezione elitaria di cultura storicamente radicata nel nostro Paese.

Tuttavia, non ci si deve aspettare una rivoluzione totale: è necessario distinguere diversi tipi di divulgazione, da un lato quella accademica, fatta di saggistica e manualistica specializzata che non cesserà mai di esistere; dall’altro, quella digitale, quella dei social. Sta di fatto che entrambi i tipi di divulgazione convivono e si influenzano reciprocamente.

Il pubblico come risponde alla figura e al lavoro dell’art sharer?

Solitamente, i seguaci di un art sharer tendono ad essere molto grati ed educati – almeno nel mio caso. A volte ricevo messaggi di persone, soprattutto adolescenti, che mi pongono delle domande su argomenti quali la scelta del percorso di studi e le professioni del mondo dell’arte; altre volte, mi scrivono semplicemente per ringraziarmi di avergli fatto scoprire qualcosa di nuovo.

Conquistando la fiducia dei follower, a prescindere da quanti essi siano, si crea una community davvero partecipativa, aperta al dialogo e al confronto!

Nel 2019 ti sei laureata in Beni Culturali e Turismo. Gli attuali programmi universitari -soprattutto per quanto riguarda il marketing culturale – danno il giusto valore al Social Media Marketing come mezzo di promozione e valorizzazione?

La presenza del digitale nel mondo dell’arte è ormai talmente forte da aver obbligato a introdurre questo argomento nei programmi universitari. La bibliografia riguardante questo tema è in aumento e i docenti non possono fare a meno di parlare di marketing culturale.

Le opinioni sono discordanti: gli esperti dall’approccio più tradizionalista esistono ancora e tendono a valutare negativamente l’utilizzo dei social per promuovere e valorizzare il patrimonio. Ma, per fortuna, c’è chi crede il contrario!

Dopo il caso Ferragni, su Instagram c’è stata un’esplosione di post di personaggi famosi fra i corridoi delle maggiori istituzioni museali d’Italia; mi vengono in mente i recenti scatti di Ema Stokholma nelle stanze di Raffaello o mentre apre lei stessa la porta della Cappella Sistina.
Questo fenomeno sembrava aver acquietato gli animi di chi si era indignato per le foto con la Venere di Botticelli; invece ci ha pensato un noto programma radiofonico a rialzare il polverone: mi riferisco all’episodio di
Cristina Fogazzi – Estetista Cinica ai Vaticani. Quali sono le tue opinioni in merito?

Le collaborazioni tra personaggi famosi e istituzioni culturali hanno un gran potenziale per raggiungere un vasto pubblico; dal punto di vista economico, sono un’ottima politica di marketing. Ma non sarebbe meglio coinvolgere gli influencer che trattano solo di arte? No, se l’obiettivo è quello di raggiungere persone che di arte sanno ben poco.

Nel caso dell’Estetista Cinica, trovo che i conduttori del programma abbiano commesso un errore fondamentale, cioè quello di non essersi informati su chi fosse e cosa facesse Cristina Fogazzi – che, tra le tante cose, è una collezionista d’arte. Parlare di classismo, tuttavia, mi è sembrato eccessivo, considerando l’attitudine ironica tipica della trasmissione.

Detto ciò, ben vengano tali iniziative ma a una condizione: fare in modo che, attraverso buoni metodi di comunicazione e mediazione, il visitatore non solo vada, ma torni nel museo.

In copertina: Lupus in Tabula – Siamo venuti in questa casa, Francesca De Mai – Museo Civico di Palazzo della Penna, Perugia. Credit Camilla Bruni.

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