Letizia Bocci, art sharer

ART SHARER: GLƏ INFLUENCER DELL’ARTE. L’ART REMEDY CLINIC DI LETIZIA BOCCI

Tempo di lettura: 4 minuti.

Il 7 febbraio 1930 il Comune di Firenze decise di costruire a Le Cure un nuovo campo sportivo. La progettazione fu affidata a Pier Luigi Nervi, l’ingegnere mitizzato dal regime fascista, l’idolo del progresso; una sorta di archistar degli anni ’30.
Esempio di Razionalismo italiano, l’Artemio Franchi è considerato una struttura innovativa e avveniristica per l’architettura dell’epoca, la prima per la quale fu utilizzato il ferrocemento.

Il 17 marzo 2021 il Ministro Dario Franceschini ha illustrato alle commissioni cultura di Camera e Senato le linee programmatiche del Mic in relazione al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Il divorzio fra Beni e Attività Culturali dal Turismo ha comportato un taglio delle risorse destinate al Mic da 8 a 5,6 miliardi di euro. Una parte dei fondi europei verrà destinata, tra le altre cose, ai progetti di riqualificazione dei grandi attrattori culturali. Tra questi potrebbe esserci anche lo stadio della Viola.

Si, avete letto bene.

Leti_bocci

Letizia Bocci è una storica dell’arte, curatrice, art writer e – in un certo senso – anche psicologa. Con i suoi rimedi offre una lettura delle opere in chiave psicologica.
Per lei l’arte non è il bello, inteso in modo canonico, ma vedere le cose in maniera diversa e su Instagram ne somministra la dose consigliata ai suoi 4.161 follower.

Ciao Letizia, benvenuta!

Ciao e grazie per avermi invitata!

Quando e perché hai deciso di usare Instagram come mezzo per fare divulgazione?

Abbastanza per caso, sono sincera, ed è stato anche del tutto naturale.

Penso che tutti, generalmente, siamo portati a parlare di ciò che più amiamo. Come lo facevo offline con le persone a me vicine, allo stesso modo ho cominciato a comunicare anche digitalmente, su Instagram, all’interno della mia pagina personale che negli ultimi anni è dedicata totalmente alla mia passione più grande: il mondo dell’arte.

Ho sempre cercato di farlo con un linguaggio molto semplice e accessibile, in modo da suscitare un interesse anche a chi, per vari motivi, dal mondo dell’arte ci è sempre stato lontano, soprattutto perché non lo sentiva vicino a sé.

Hai anche un tuo sito web, Art Remedy Clinic, una clinica per curare con l’arte l’anima e non solo. Ma hai mai pensato di esportare un po’ del tuo progetto anche su altri social?

Art Remedy Clinic è un progetto nato a marzo 2020, in piena pandemia – come è successo a molti altri con i loro progetti creativi. Se vogliamo trovare un lato positivo a questa pandemia, è certamente quello di aver dato modo e tempo di focalizzarsi sulle proprie passioni e progetti.

Riguardo all’approdo su altre piattaforme, ci ho pensato, ma per il momento ho scelto di concentrarmi su Instagram e sul sito, perché li sento più vicini a me, in quanto amante della scrittura e della fotografia.

Che cosa sono i Rimedi d’arte?

I Rimedi d’arte fanno sempre parte del progetto Art Remedy Clinic, come suggerisce il nome. Sono una mia personale lettura di alcune opere, attraverso una chiave psicologica.

Lo studio che si nasconde dietro alla realizzazione di questi contenuti è molto impegnativo; questo perché devo documentarmi anche su una materia che non ho studiato all’università, come invece ho fatto per Storia dell’Arte. Ovviamente io sono una storica dell’arte e non una psicologa, quindi cerco solo un filo conduttore basato sugli aspetti generali di uno specifico argomento.

Questi contenuti nascono per fornire una lettura alternativa dell’arte, renderla più accessibile, permettendo di capire che, alla fine, ci riguarda più di quanto pensiamo e che parla proprio di noi.

Questo succede perché le opere d’arte nascono da persone, prima ancora che da artisti, e in quanto tali, nella loro vita, hanno provato molte delle emozioni che sentiamo pure noi oggi: quelle emozioni, stati d’animo, condizioni che affrontiamo, le possiamo rileggere con i giusti strumenti anche attraverso le opere d’arte. E magari riusciamo a capirle meglio.

Veniamo ora alle domande di rito.

Il mondo dell’arte e della cultura ha bisogno della figura dell’art sharer? Il suo ruolo può davvero spingere verso una nuova e prolifica forma di valorizzazione del patrimonio culturale italiano?

Il mondo dell’arte e della cultura hanno bisogno di figure professionali che usino però anche un vocabolario adatto a più tipi di pubblico.

Non tutti quelli che si approcciano all’arte l’hanno potuta studiare ed è impossibile pensare di utilizzare lo stesso linguaggio per tutti, perché le esigenze sono diverse.

La figura dell’art sharer sta diventando e dovrebbe diventare sempre più necessaria anche all’interno delle istituzioni, aiutandole a raccontare l’arte in una modalità diversa, adatta a target diversi. Alcune realtà hanno cominciato a muoversi in questa direzione e i vantaggi che ne traggono sono senza dubbio notevoli.

Il modo di raccontare l’arte sta davvero cambiando? Potrà evolversi in qualcosa di diverso o resterà legata agli stilemi che la incardinano all’immagine stereotipata del salotto elitario?

Fortunatamente, questo cambiamento è già avvenuto. Dico fortunatamente non perché voglia tagliare fuori dal modo di comunicare l’arte quella modalità unicamente scientifica e filologica. Ma perché è diventata forte, negli ultimi anni, l’urgenza di divulgare l’arte in modo più accessibile. Questo è necessario su due fronti: sia per gli addetti ai lavori, sia per i musei e le istituzioni che lavorano con i beni culturali.

Il pubblico come risponde alla figura e al lavoro dell’art sharer?

Personalmente ho sempre avuto reazioni positive da parte del pubblico, sia su Instagram che sul sito. Commenti di grande affetto e di interesse per questo mondo e per le mie modalità di comunicarlo.

Ne sono incredibilmente grata, perché è uno scambio reciproco: quando qualcuno mi dice che grazie a un mio Rimedio d’Arte non solo si è appassionato ad un artista ma ha anche riconosciuto degli aspetti di sé su cui potersi focalizzare, mi riempie di gioia e mi spinge a continuare su questa strada.

Poi, ultimamente, in modo del tutto inaspettato, grandi soddisfazioni sono arrivate anche da parte di alcune istituzioni, che hanno capito il grande valore della figura dello storico dell’arte, che mette a disposizione parte del suo tempo e delle sue competenze, per divulgare l’arte in modi alternativi.

Non voglio porti questa domanda perché sei di Firenze, ma voglio porti questa domanda perché sei di Firenze. Nel Pnrr rientrerebbe anche il progetto di restauro dell’Artemio Franchi. Fin qui nulla da obiettare: protestare per il riattamento di uno stadio ( tralasciando il valore storico artistico – parliamo pur sempre di Nervi, mica bau bau micio micio) sarebbe folle come se si stesse chiedendo di non perdere tempo e soldi per un viadotto, un aeroporto, una scuola.
Il dubbio sorge nel momento in cui il Ministro della Cultura ipotizza l’inserimento di quello stesso stadio nella lista dei grandi attrattori culturali. Tu cosa ne pensi?

È un’annosa questione quella dell’Artemio Franchi. Alla fine, anch’io, nonostante mi trovi dalla parte diametralmente opposta a quella del calcio, ho cominciato ad interessarmi alla vicenda, ma in quanto storica dell’arte e quasi fiorentina da 10 anni.

Sono state sollevate questioni molto delicate negli ultimi anni. Come la diatriba sull’eventuale restauro oppure ricostruzione ex-novo.

Intanto si apprende che i lavori per lo stadio Artemio Franchi dovrebbero ricevere dallo Stato circa 100 milioni di euro, grazie ai fondi del Recovery Plan. Sicuramente si sta parlando di un’opera architettonica con una rilevanza anche artistica, ma il mio dubbio riguarda la questione delle priorità all’interno del gruppo di beni culturali che necessitano di interventi urgenti di restauro. Siamo sicuri che sia la scelta giusta?

Non so se è questo il caso, ma spesso ci troviamo davanti il solito scenario: l’eterna lotta tra le ragioni dell’arte e quelle del dio denaro.

In copertina: Credit Letizia Bocci.

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