BLACK LIVES MATTER: CHE RUOLO GIOCANO LE IMMAGINI?

Di Silvia Diliberto

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Un video, quello dell’uccisione di George Floyd è stata la miccia delle manifestazioni antirazziali che da giorni infuocano gli Stati Uniti e non solo. Il video, inizialmente trasmesso con una diretta social e poi diventato virale, per la sua violenza e per la desensibilizzazione dell’atto, testimonia l’abuso di potere messo in atto da alcuni agenti di polizia del Minneapolis nei confronti di un 46enne afroamericano.

L’esibizione della banalità con la quale un uomo perde la vita è quello che il video ci lascia: la morte di un uomo sicuramente evitabile.

Queste immagini, probabilmente per la loro brutalità, hanno prodotto una nuova sensibilità, modificando la percezione e i comportamenti: la violenza manifestata ha generato rabbia, la rabbia è diventata protesta, e la protesta (ci auguriamo che anche stavolta sia così) guida al cambiamento. Dopotutto, come ci ha ricordato Barack Obama: ogni progresso della nostra storia, ogni rafforzamento delle libertà, ogni espressione dei nostri ideali più profondi sono stati conquistati attraverso sforzi che hanno disturbato lo status quo.

Chandan Khanna. Credit

L’incredibile quantità di immagini che circolano nel web in questi giorni ha dimostrato come il potere evocativo delle immagini spesso non dà solo forma al pensiero, ma si spinge oltre: l’attività intrinseca delle immagini prodotte da fotoreporter, giornalisti, artisti contribuiscono a costruire una realtà passata in sordina.

Così, motivate dalle immagini, sono scese per strada marce di solidarietà che in brevissimo tempo sono diventate un fenomeno globale. Il movimento Black lives matter (BLM), impegnato nella lotta contro il razzismo dal 2013, è tornato ai titoli nazionali in seguito all’uccisione di George Floyd, quando in tutta America si sono verificate proteste pacifiche e non, sotto la bandiera del #BlackLivesMatter.

DJ E-Clyps. Fort Wayne, Indiana, June 5. Credit

Per poter indagare a fondo il modus operandi delle immagini sull’immaginario sociale, è necessario prendere in esame tutto il repertorio fotografico di questa vicenda, anche quando testimonia atti riprovevoli che non rendono giustizia alla causa.

I social network diventano parte della protesta ed è per questo che diviene doveroso citare chi in questi giorni li ha popolati e ne ha fatto piattaforma di informazione. Numerosi infatti sono stati i fotografi che hanno immortalato le proteste in Minneapolis e non solo, gente del luogo e professionisti che sono accorsi per lasciare testimonianza di questi delicati momenti. È stata pubblicata una lista degli autori di queste testimonianze, più di 200 fotografi provenienti da ogni dove negli Stati Uniti, una risorsa per i redattori che volessero commissionare incarichi.

Fotografie che, oltre a rappresentare un importante documento storico, diventano immagini dal potente valore artistico. Come la fotografia di Brandon Bell, pubblicata su Instagram, che ritrae una donna etiope in piedi tra la folla, vicino al memoriale di George Floyd, avvolta da un hijab rosso che sembra infuocare i suoi occhi. 

Brandon Bell. Credit

Per stemperare le rivolte interne sono state adoperate misure emergenziali di restrizioni come il coinvolgimento  delle National Guard, riservisti dell’esercito e l’imposizione di un coprifuoco. L’utilizzo massiccio dei social network e il rumore che si genera attorno, ha registrato un uso indiscriminato della forza: aggressioni ingiustificate, convogli militari che intimano alle persone di tornare nelle proprie case, spari di proiettili non letali dentro le abitazioni di chi osa affacciarsi alla finestra, protestanti immobilizzati con l’uso del taser

A sostegno del movimento un’iniziativa, lanciata sui social, ha riempito le bacheche di un quadrato nero accompagnato dall’hashtag #BlackOutTuesday. Pare che l’iniziativa, almeno stando a quanto detto sul canale Telegram del BLM, si sia rivelata negativa per chi sulle strade combatte e difende i diritti umani, dal momento che un flusso nero si è sostituito al potere comunicativo delle immagini.

Inizialmente non era chiaro se l’iniziativa fosse stata promossa da forze contrarie al fine di stemperare la rabbia, mettendo in atto strategie subdole che dessero poca visibilità alle testimonianze dirette di abusi e violenze da parte delle forze dell’ordine. Pare, invece, che a promuovere l’iniziativa sia stata l’industria musicale americana e che lo scopo fosse proprio quello di dare un supporto al movimento BLM.

Sebbene la proposta fosse bene intenzionata si è rivelata un’arma a doppio taglio: in molti, infatti, hanno accompagnato il post con l’hashtag #Blacklivesmatters, andando a coprire la molteplice quantità di materiale accusatorio pubblicato dal movimento. L’oblio dell’immagine, il quadrato nero, ha così in qualche modo fatto da censura alle ingiustizie subite dalla popolazione afroamericana.

Nicole Sobecki. Mentre le proteste continuano negli Stati Uniti, anche i residenti della capitale del Kenya, Nairobi, stanno andando in piazza per manifestare contro la brutalità della polizia, chiedendo giustizia per le vittime di omicidi extragiudiziali. Credit

In tutta questa vicenda una cosa ci è chiara: il potere che le immagini posseggono. La loro forza è talmente operosa che agisce su più livelli di comunicazione, spesso andando ad inficiare proprio quelle forze istituzionali che dovrebbero rappresentare il modello. Le immagini assurte ad armi primarie in questa lotta contro il razzismo, hanno innescato e continuano ad innescare processi mentali capaci di ribellarsi al sistema, proprio perché assolvono alla funzione veritiera e primaria dell’informazione.

In copertina: Brandon Bell. A Minneapolis, nel luogo commemorativo di George Floyd, la gente balla in un temporale. Credit.

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