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“Le ho mostrato l’oro, ma l’oro che trova è tutto suo”.
- Auguste Rodin
Queste parole di Auguste Rodin ci permettono di comprendere quanto lo scultore stimasse la giovane Camille Claudel, artista dal talento precoce e personalissimo.
Ma dalle stesse parole capiamo anche che Rodin, nei confronti di Camille, si attribuisce il ruolo superiore di vate, maestro e guida. Ma siamo sicuri che la Claudel fosse soltanto la musa di uno dei più celebrati artisti di Francia? Grazie ai recenti studi, il ruolo di Camille Claudel nella scultura a cavallo tra Otto e Novecento è stato finalmente studiato e messo sotto la giusta luce. Per molto tempo, tuttavia, la sua arte è stata sottovalutata e messa in ombra dalla forte personalità di Auguste Rodin.
Camille nasce a Fère-en-Tardenois, a nord-est di Parigi, l’8 dicembre 1864 da una famiglia benestante.
Lei e Paul, il fratello minore, sono inseparabili e trascorrono un’infanzia felice e spensierata: Paul si diletta di poesia mentre Camille inizia ad appassionarsi alla scultura a soli sei anni quando modella la terra morbida e umida di una collina vicino casa.
Il padre di Camille si rende subito conto della predisposizione della figlia per la scultura e, a soli tredici anni, decide di affiancarle un precettore privato, nonostante la moglie fosse contraria alla passione della figlia per un’arte così manuale e dunque prerogativa degli uomini. Camille continua il suo apprendistato e giunge a Parigi dove, nel 1881, entra nell’Académie Colarossi che, come l’Académie Julian, era un istituto privato – altro rispetto alle scuole ufficiali – che inoltre accettava artisti stranieri e soprattutto le donne che potevano così studiare il nudo maschile come i colleghi uomini.
Camille si dedica pienamente alla scultura, seguita dal maestro Alfred Boucher, e prende in affitto uno studio in rue Notre-Dame-des-Champs 117 insieme ad altre artiste per lo più inglesi.
L’incontro tra Rodin e la Claudel avviene nel 1883 quando Boucher, in procinto di trasferirsi a Roma, chiede al collega Auguste di sostituirlo nelle sue lezioni all’Académie Colarossi. Rodin riconosce subito in Camille una giovane dal grande talento e dalla passione smisurata per la scultura che coltiva con determinazione. Di lei, Rodin scrive: “Ha una natura profondamente personale, che attira per la grazia ma respinge per il temperamento selvaggio”.
Nel 1884, quando Camille ha vent’anni e Auguste quarantaquattro, la giovane artista si trasferisce in veste di collaboratrice nell’atelier di Rodin in rue de l’Université 182. Nonostante lo scultore sia sposato e abbia ventiquattro anni più di lei, i due si innamorano e iniziano una relazione travolgente e, come vedremo, tragica. Rodin vede in lei una musa: è la sua modella ma anche la sua allieva più talentuosa, determinata e appassionata.
Camille riconosce nel suo amante un maestro e una guida da cui apprendere il mestiere complesso della scultura. Tra il 1889 e il 1892, l’artista concepisce e modella uno dei suoi lavori più importanti: La valse, un’opera raffinata, dinamica, di piena ispirazione rodiniana, dove l’amore è come una danza che la scultura ha reso eterna, sconfiggendo la morte.
L’opera, dal forte senso simbolico attribuito alla musica, testimonia la liaison che Camille ha avuto con il coetaneo Claude Debussy tra il 1888 e il 1889.
Tra i due nasce una forte amicizia dettata anche da una profonda stima reciproca. Debussy ammira molto l’arte sensibile di Camille e anche la sua determinazione nella scelta di intagliare il marmo da sé, senza alcun tipo di aiuto.
Rodin è geloso del legame della sua amante con il musicista, sebbene abbia a lungo trascurato la Claudel per i suoi impegni in importanti esposizioni. Rodin la rivuole per sé e Camille, succube delle attenzioni del suo maestro, tronca ogni rapporto con Debussy. Ma l’idillio dura poco: il loro rapporto entra in crisi, Rodin ha una personalità molto autoritaria e non ha intenzione di lasciare la moglie per la giovane Camille che, quando realizza l’impossibilità di un futuro per la loro relazione, entra in un periodo di profondo sconforto che si rispecchia anche nelle sue opere. In L’age mûr (L’età matura), infatti,Camille rappresenta molto chiaramente la sua difficile relazione con il maestro: un uomo maturo incede verso una donna in età avanzata che quasi lo ammanta, mentre una giovane, in cui si può leggere Camille stessa, implora l’uomo di restare con lei.
Anno dopo anno, Camille è sempre più esasperata dalla relazione con Auguste. Alcune fonti parlano anche di una gravidanza interrotta che deve aver afflitto profondamente l’artista. Scrive la Claudel: “[Rodin] non aveva che un’ossessione: che una volta morto, io spiccassi il volo come artista e diventassi più di lui; occorreva che egli riuscisse a tenermi nelle sue grinfie dopo la sua morte come in vita. Occorreva che io fossi infelice lui morto come lui vivo. È riuscito in tutti i punti perché per essere infelice, io lo sono”. Ma Camille è un’artista e lavora senza sosta e con il massimo della determinazione: modella il gesso, l’argilla e il marmo con maestria e nella materia esprime le sue emozioni. Talvolta, in preda alla disperazione, distrugge le sue opere.
Il fatto che la Claudel non fosse sposata, anzi, che si fosse legata a un uomo impegnato – il suo maestro ben più grande di lei – era un grande scandalo. Anche il suo mestiere, la scultura, era per una donna uno scandalo e la sua sofferenza e il suo disagio così liberamente espressi, erano per la famiglia uno stigma sociale. Soltanto il padre ha sempre sostenuto la figlia nella sua passione per l’arte e, a una settimana dalla sua morte nel 1913, la Claudel viene tradita dalla sua stessa famiglia che, non tollerando la sua vita libera e anticonformista, la fa internare nel manicomio di Montfavet, nonostante i dubbi dei medici che non riconoscevano in Camille particolari disagi psichici.
È bene dar voce a Camille stessa per comprendere il suo stato d’animo. Il 25 febbraio 1917 scrive dal manicomio al medico e amico Paul Michaux:
“Signor dottore,
forse voi non vi ricorderete della vostra ex-paziente e vicina, M.lle Claudel, che fu portata via da casa sua il 13 marzo 1913 e condotta in manicomio da dove forse non uscirà mai più. Sono cinque anni, tra poco sei, che subisco questo terribile martirio. […] Vi prego dunque di prendervi cura del mio caso […] e riflettere su cosa potete fare per me. Per quanto riguarda la mia famiglia non c’è niente da fare: sotto l’influenza di persone malvagie, mia madre, mio fratello e mia sorella non ascoltano che le calunnie da cui sono stata investita. Mi si rimprovera (crimine orribile!) di aver vissuto da sola, di avere dei gatti in casa, di soffrire di manie di persecuzione! È sulla base di queste accuse che sono incarcerata da cinque anni e mezzo come una criminale, privata della libertà, privata del cibo, del fuoco e dei più elementari conforti. […] Forse voi potreste, come dottore in medicina, usare la vostra influenza a mio favore. In ogni in caso, se non si vuole concedermi la libertà subito, preferirei essere trasferita […] all’ospedale ordinario, dove voi potreste venire a visitarmi per rendervi conto della mia salute. Qui per me vengono pagati 150 franchi al mese, e dovreste vedere come vengo trattata; la mia famiglia non si occupa di me e non risponde alle mie proteste che con il mutismo più assoluto, così vien fatto di me quel che si vuole. È orribile essere abbandonata in questo modo, non posso impedirmi di essere sopraffatta dal dolore. […] Mia madre e mia sorella hanno dato ordine di tenermi isolata nel modo più completo, alcune delle mie lettere non partono e alcune visite non arrivano. Oltretutto mia sorella si è impossessata della mia eredità e ci tiene molto al fatto che io non esca mai di prigione. Vi prego di non scrivermi qui e di non dire che vi ho scritto, perché vi sto scrivendo in segreto contro i regolamenti dello stabilimento e se si venisse a sapere mi troverei nei guai […]”.
Dopo trent’anni di reclusione, a settantotto anni, il 19 ottobre 1943, Camille Claudel muore per un colpo apoplettico causato con tutta probabilità dalla malnutrizione, molto comune negli istituiti psichiatrici del tempo. Venne sepolta nel cimitero del manicomio con una cerimonia a cui non partecipò nessuno dei suoi familiari, nemmeno il fratello Paul. I suoi resti, mai reclamati dai parenti, vennero poi trasferiti in una fossa comune.
In copertina: Auguste Rodin, L’adieu, gesso, Parigi, Musée Rodin, 1898 circa