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Passeggiando incuriositi tra le file di un negozio di dischi, capita spesso di imbattersi nell’album di una sconosciuta band irlandese, o magari australiana, solo perché attratti dai colori, dai disegni e dalle strane, a volte geniali, trovate che caratterizzano la sua copertina.
E non è affatto raro che questo “primo approccio”, di natura puramente estetica, si tramuti presto in una vera e propria scoperta musicale, al punto da benedire il giorno in cui si è presa la fatale decisione di acquistare, dopo vari indugi, quell’album da una bancarella dell’usato piuttosto che da negozio specializzato.
In questo modo, la copertina ha già assolto a una parte del suo compito: quello di attrarre a sé quanta più gente possibile. Un principio universale, che vale per l’ambito musicale come per ogni altro settore che abbia a che fare con un pubblico vasto e variegato.
LA NASCITA DELLA COVER ART
Ci sono così esemplari che sfiorano – entrandovi, talvolta, di diritto, con tutti e due i piedi – lo status di opera d’arte; album passati alla storia grazie, anche e soprattutto, alla loro copertina. Un’industria che va avanti ormai da anni, da quando lo statunitense Alex Steinweiss, direttore artistico della Columbia Records, diede avvio, nel 1939, ad una rivoluzione senza precedenti.
Se fino a quel momento i vinili venivano confezionati in buste anonime, monocromatiche, l’idea di Alex Steinweiss permise di raggiungere risultati insperati: solo con la riedizione della sinfonia n.3, “Eroica”, di Beethoven – una delle prime ad essere illustrate dopo “Smash Song Hits by Rodgers & Hart” del pianista Richard Rodgers e del paroliere Lorenz Hart – la Columbia registrò un aumento delle vendite del 900%.
Si stabilisce quindi un rapporto strettissimo tra le arti figurative e la musica, che vedrà all’opera artisti di fama internazionale (tra i tanti, Salvador Dalì, Andy Warhol, Banksy e Keith Haring) graphic designer, illustratori, fumettisti; un rapporto divenuto inscindibile nel corso degli anni ’60, ’70 e ’80, tanto da costituire una nuova, riconosciuta, forma d’arte: la Cover Art.
“FELONA E SORONA”
Per inaugurare questa nuova rubrica si è scelto di approfondire un caso singolare e tutto italiano: quello di “Felona e Sorona” de Le Orme. Siamo nell’aprile del 1973, quando il gruppo veneto composto da Aldo Tagliapietra, Toni Pagliuca e Michi Dei Rossi, freschi di disco d’oro per “Uomo di Pezza”, uscito l’anno precedente, pubblica il suo primo, vero, concept album: “Felona e Sorona” appunto.
Sono quelli gli anni più prolifici e significativi per il rock progressivo, non solo in Italia (sempre nel ’73, ad esempio, uscirà “Io Sono Nato Libero” del Banco del Mutuo Soccorso e l’indimenticabile “The Dark Side Of The Moon” dei Pink Floyd), e il rapporto con l’arte figurativa giunge, soprattutto per Le Orme, ad un appuntamento decisivo.
Al fine di dare una veste grafica al loro concept, il gruppo di Marghera si rivolge al pittore e scultore lombardo Lanfraco Frigeri. L’idea è quella di scrivere la storia di due pianeti contrapposti: il primo, Felona, fonte di luce, gioia e vita, costantemente in festa; il secondo, Sorona, desolato e buio, immerso nell’oblio. Nel mezzo, un ente supremo dimenticato, pronto a sovvertire i fragili equilibri e a ristabilirne di nuovi, se richiesto.
Le nove tracce che compongono il disco accompagnano “per mano” l’ascoltatore all’interno di un viaggio onirico, in cui i tempi, i toni e gli umori descrivono e si adeguano perfettamente alle atmosfere evocate dal testo (bastano “Felona” e “Sorona” per farsene un’idea), raggiungendo il punto più alto ne “L’equilibrio”: un brano irrequieto, a tratti struggente, con la tastiera e il synth di Pagliuca che diventano un tutt’uno con la voce di Tagliapietra e l’irrefrenabile batteria di Dei Rossi.
L’APPORTO DI LANFRANCO FRIGERI…
è anch’esso memorabile: il suo dipinto, “I pianeti del sogno e della speranza”, chiaramente ispirato alla pittura di Salvador Dalì (che non mancò di sottolineare il proprio apprezzamento verso l’artista lombardo) e Max Ernst, evoca in maniera esemplare tutto il clima surreale della storia ideata dal gruppo.
Sul primo lato della copertina, Frigeri rappresenta una donna, Felona, e un uomo, Sorona: la prima illuminata dalla luce, il secondo oscurato dall’ombra che Felona proietta su di esso. A destra, il volto enigmatico di una donna (forse l’entità suprema) si affaccia, impassibile, sulla scena.
Sul secondo lato, invece, la coppia è colta di spalle, mentre osserva un grande buco nero aprirsi di fronte a loro, in un paesaggio buio, desolato e spettrale. Il volto di una donna, dai capelli rossi – anziché bianchi – e con gli occhi chiusi, compare, questa volta, sulla sinistra.
L’album, pubblicato dalla Philips Records, valse a Le Orme il secondo disco d’oro, indice dell’ampio successo ottenuto in Italia, e fu tradotto e pubblicato in inglese l’anno successivo dalla Charisma Records, storica casa discografica che si assicurò i migliori artisti del tempo, tra i quali i Genesis.
Nel 2016, per celebrare il cinquantesimo anniversario della fondazione del gruppo, Le Orme hanno rivisitato Felona e Sorona con nuovi arrangiamenti, in una doppia versione italiana e inglese. Per l’occasione, la realizzazione della nuova copertina è stata affidata al fumettista campano Giuliano Piccininno, che ha rivisitato l’opera di Frigeri recuperando e collocando alcuni motivi originali in una Venezia a due facce.
Insomma, un esempio unico di rock progressivo italiano (l’ascolto è oltremodo consigliato!) e, insieme, del felice connubio tra arte figurativa e musica.
In copertina: Lanfranco Frigeri, copertina per Felona e Sorona de Le Orme (1973) Credit.
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