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Ci sono album che hanno segnato un’epoca, e che, per un motivo o per l’altro, sono passati alla storia. Autentici capolavori, capaci di imporsi sulla scena musicale mondiale e di fissare nuove coordinate culturali con le quali tutti, nessuno escluso, hanno dovuto presto o tardi confrontarsi.
Si prenda Music From Big Pink di The Band: pubblicato nel 1968, il primo album di Robertson e compagni ha stravolto completamente le priorità del rock americano ed europeo, imbevuto delle sperimentazioni psichedeliche degli anni sessanta (The Psychedelic Sounds Of the 13th Floor Elevators, ad esempio, esce nel ’66; The Velvet Underground & Nico nel ’67), promuovendo una riscoperta della tradizione popolare attraverso una sana e ricercata commistione di elementi folk, gospel e country.

Ci sono poi album che, per la portata delle loro novità, si collocano in una posizione d’avanguardia, anticipando i tempi e aprendo la via alle sperimentazioni che, di lì a breve, finiranno inevitabilmente con il consolidarsi in formule precise. È questo il caso di Time Out di The Dave Burbeck Quartet.
Da Steinweiss..
Già con l’articolo “pilota” della rubrica CoverArt, dedicato al quarto album de Le Orme, Felona e Sorona, si è colta l’occasione per parlare, seppur brevemente, di Alex Steinweiss, padre della moderna copertina. Qui basterà ripercorrere alcuni passaggi della sua carriera presso la Columbia Records per comprendere come e in quale contesto nacque la copertina di Time Out.

È il 1939 e il ventiduenne Alex Steinweiss, primo direttore artistico della casa discografica newyorkese, propone di sostituire le buste monocromatiche con le quali venivano confezionati i vinili con delle copertine illustrate sfruttando design originali appositamente realizzati, ispirati all’album cui si riferivano.
Gli esiti sul piano economico non si fecero attendere, tanto che per anni Steinweiss portò avanti, con successo, la propria idea rivoluzionaria. Ma come spesso capita, per sopravvivere è necessario che l’idea subisca un processo di rinnovamento: quindici anni dopo, le copertine della Columbia presentavano pattern e forme ritenute ormai troppo semplici, arrangiate, certo, in modo da suscitare ancora l’interesse del pubblico.
…a fujita
Almeno fino al 1954, quando a New York arrivò un giovane artista e graphic designer hawaiano, che fondò e avviò, assumendone sin da subito la guida, il dipartimento artistico della casa discografica: S. Neil Fujita.

Fujita prese in mano l’idea di Steinweiss e la rivoluzionò, coinvolgendo artisti, fotografi e illustratori (tra i tanti, Andy Warhol, Roy DeCarava, Ben Shahn e Milton Glaser). Egli stesso si cimentò nel processo creativo, ed è a lui che si deve l’introduzione dell’astrazione non solo nelle copertine degli album musicali, ma anche nel graphic design.
Al suo nome sono legati una lunga serie di album di artisti jazz, tra cui quelli di Miles Davis, Duke Ellington, Charles Mingus e, naturalmente, The Dave Burbeck Quartet.
AStrazione e improvvisazione in time out
Anche per il quartetto californiano, l’incontro con Fujita segna un importante inizio: l’utilizzo di opere d’arte contemporanea per le copertine dei loro album. In tutti i precedenti lavori del quartetto e dello stesso Dave Brubeck, infatti, (Brubeck Time, Brubeck Plays Brubeck, Dave Digs Disney ecc., tutti pubblicati dalla Columbia) non compaiono che le sole foto – accompagnate, a volte, da illustrazioni – degli artisti (siamo tra il ’55 e il ’57, quando Fujita era già a capo del dipartimento!).

Dopo il 1959 invece, anno di uscita di Time Out, il gruppo ricorrerà spesso a questo tipo di soluzioni, tanto che per Time Further Out, erede spirituale del primo e pubblicato nel ’61, Brubeck e soci utilizzeranno un’opera di Joan Mirò.
Oltre alle novità sul piano figurativo, Time Out si rende protagonista anche per le sperimentazioni e innovazioni in ambito musicale: al suo interno sono infatti contenute tracce come Blue Rondò a la Turk, la celebre Take Five, Three To Get Ready, Kathy’s Waltz, tutte composizioni che presentano una forte commistione di elementi culturali, oltre che una complessa sequenza di scansioni metriche che vanno dai 9/8 ai 5/4 e 3/4 (anziché i soli 4/4, più comuni per il jazz).

Quanto a Fujita, il suo astrattismo, ispirato alle opere di Paul Rand, Rufino Tamayo, Paul Klee, Braque e Picasso, trova un preciso equilibrio con l’improvvisazione tipica della musica jazz («Jazz called for abstraction […]» affermerà in un’intervista), e album come Time Out e Mingus Ah Um sono lì a dimostrarcelo.
In copertina: S. Neil Fujita, dettaglio della copertina per Time Out di The Dave Brubeck Quartet (1959). Credit.