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Chi è avvezzo agli studi legati alla miniatura e, come questa, a ogni altra forma d’arte che possa definirsi “applicata”, sa bene quanto complessa e travagliata sia stata la sua storia e di quali accezioni si sia spesso arricchita la sua fortuna critica. Solo oggi, infatti, siamo nelle condizioni di poter definire l’arte del minio una tecnica in grado di rivendicare a sé, al netto delle sue peculiarità, una piena e assoluta dignità storica, al pari dell’arte sorella, la pittura.
Ma è questo il colpo di coda di un lungo – lunghissimo! – processo rivalutativo, che culminerà tra la seconda metà dell’800 e la prima metà del ‘900, soprattutto in Inghilterra, sulla spinta delle innovazioni dell’industria dell’editoria.
Gini Barris, copertina per Lizard dei King Crimson (1970). Credit.
La miniatura diventò così uno strumento alla portata di tutti, tanto che alcune riviste europee si specializzarono nella promozione dell’arte del minio, indirizzando le proprie attenzioni verso un pubblico amatoriale, fatto soprattutto di donne. Accanto al ricamo, che assieme ad altre pratiche caratterizzava l’educazione femminile del tempo, questo medioevo “domesticato” invitava la donna a diventare un’artista, anche grazie all’aiuto di manuali contenenti riproduzioni in cromolitografia, modelli ornamentali e ragguagli sulle tecniche più disparate.
Tutto ciò per arrivare ai nostri giorni, in cui non solo la miniatura ha acquisito una certa rilevanza scientifica, ma è addirittura impiegata nella decorazione dei prodotti di largo consumo, tra cui le copertine di album musicali. Per l’occasione ne ho selezionati due, entrambi pubblicati negli anni ‘70: il primo è un album dei King Crimson, Lizard, apparso nel 1970; il secondo, invece, è dei Thin Lizzy, ovvero Johnny The Fox, del 1976.
Gini Barris, copertina per Lizard dei King Crimson (1970). Credit.
In tutti e due i casi si assiste ad un recupero dei motivi decorativi tipici dei codici miniati tutt’altro che sterile: le rivisitazioni, a volte geniali, messe in pratica dagli artisti rendono infatti questi due album unici, dove il dato visivo svolge un ruolo da assoluto protagonista.
Lizard è il terzo album dei King Crimson, apparso a un anno di distanza dall’esordio con l’epocale In The Court Of The Crimson King, pietra miliare della musica contemporanea nonché uno degli album più famosi del progressive-rock britannico, reso celebre anche grazie alla sua copertina, vera icona degli anni ’60. E da questo, nonché dal suo immediato successore In The Wake Of Poseidon, anch’esso del ’70, Lizard prende volutamente le distanze, spingendosi oltre verso nuove sperimentazioni fatte di sonorità, innesti e contaminazioni di assoluta complessità, con componenti rock, prog, classiche e free jazz.
Gini Barris, interno di copertina per Clotho’s Web di Julie Felix (1972). Credit.
L’apice di queste sperimentazioni è rappresentato – concettualmente e musicalmente – dalla suite che dà nome all’album, opportunamente divisa in “atti”: Prince Rupert Awakes, Bolero, The Battle of Glass Tears, Big Top. L’atmosfera, a tratti fiabesca, è scandita dai ritmi tipici del bolero ed è arricchita dagli interventi solistici dei fiati (oboe, corno inglese, sax, tromba, ecc.). Il concept dell’opera vede come protagonista il duca di Cumberland, Rupert del Palatinato, collocato prima e dopo un’immaginaria “battaglia delle lacrime di vetro”, la cui narrazione è affidata quasi totalmente alla musica.
E di questi e altri riferimenti se ne trova traccia nella meravigliosa copertina dell’album, frutto dell’estro creativo dell’illustratrice inglese Gini Barris, che recupera le capitali miniate dei codici manoscritti medievali di area britannica e le rivisita collocando qua e là delle vere e proprie chicche.
Nel caso della “I” di “Crimson”, ad esempio, si riconoscono i Beatles con Yoko Ono (riferimenti al brano Happy Family); nella “N” invece, l’orsetto Rupert che saluta da un aeroplanino (riferimento al protagonista della suite) e i membri di un immaginario gruppo rock, composto da Jimi Hendrix, Ginger Baker alla batteria e Dave Wade, marito della Barris, al flauto. Nella “C” compaiono i personaggi del brano Cirkus, mentre nella “R” la Lady of the Dancing Water dell’omonimo brano. E così via.
Jim Fitzpatrick, copertina per Johnny The Fox dei Thin Lizzy (1976). Credit.
Gini Barris tornerà poco dopo a confrontarsi con il mondo medievale e le sue atmosfere fiabesche con la cover per Clotho’s Web di Julie Felix, apparso nel 1972, realizzando l’illustrazione contenuta nella parte interna dell’album.
Johnny The Fox è il settimo album della band irlandese dei Thin Lizzy, pubblicato dalla Mercury nel 1976. Il disco uscì a pochi mesi di distanza da Jailbreak, album che garantì a Lynott e soci il primo, vero successo commerciale. L’apertura è affidata a Johnny, solidissimo hard rock-blues impreziosito dai pregevolissimi riff di Gorham e Robertson. L’apice arriva con Bordeline e Don’t Believe A Word: lì un lento, con una delle prove vocali, forse, più importanti di Phil Lynott; qui la manifestazione più concreta dell’affinità delle due chitarre, assolute protagoniste del brano.
Jim Fitzpatrick, copertina per Johnny The Fox dei Thin Lizzy (1976). Credit.
La copertina dell’album fu disegnata dall’irlandese Jim Fitzpatrick, celebre per il suo ritratto di Che Guevara del 1968, sotto esplicita richiesta di Lynott. Fitzpatrick si ritrovò così ad effettuare un recupero dei motivi tipici della cultura celtica e dei codici miniati irlandesi, fondendoli in soluzioni originalissime. La cover fu completata a disegno ultimato con l’aggiunta, sul primo lato, della volpe, protagonista della vicenda, e del titolo dell’album. Sul retro, invece, quattro clipei decorati con le foto dei componenti della band.
Uno spirito revivalist che caratterizzerà tutta l’attività artistica di Fitzpatrick, autore anche di splendide copertine e illustrazioni di libri incentrati sui cicli della mitologia celtica, come The Book of Conquests del 1978 e The Silver Arm del 1981.
Jim FItzpatrick, copertina per Lebor Gabàla, The Book of Conquests (1978). Credit.
In copertina: Gini Barris, dettaglio di copertina per Lizard dei King Crimson (1970). Credit.