DOMUS ARTIST RESIDENCY: UNO SGUARDO ECOFEMMINISTA SUL TERRITORIO SALENTINO

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Elena Righini ci ha raccontato cos’è e come è nato il progetto di Domus Artist Residency ma in primis la sua esperienza come partecipante in veste di curatrice.


Cos’è Domus Artist Residency?

Nel nostro progetto l’arte è un processo; il contesto è il soggetto dell’opera d’arte e senza contesto quest’opera d’arte non esisterebbe. Domus Artist Residency è nata tre anni fa, nel 2018. É stata fondata da Romina De Novellis, performer femminista e da suo marito Mauro Bordin, pittore e fotografo delle opere di De Novellis. I due artisti italiani vivono e lavorano a Parigi e hanno creato questo spazio per lavorare in loco su temi legati al Mediterraneo.

Domus è una casa tipica, situata nel cuore del Salento, in Puglia, a Galatina. È una residenza per artisti e curatori, è un luogo di incontro internazionale, fondato per creare, condividere e intrecciare legami tra gli spazi indipendenti, gli artisti, i curatori che vivono, lavorano o si ispirano al Bacino Mediterraneo. Negli anni, il team si è allargato: si sono aggiunte Pauline Rossignol, artista visiva francese e Mariacristina Lattarulo, curatrice e ballerina. Il progetto è volto alla ricerca e all’attività culturale sul territorio, più che sulla produzione. Io e Amber – l’artista in residenza- siamo le prime residenti ufficiali del programma, che nei precedenti anni è stato dedicato a talks ed eventi artistico-culturali. Dopo l’edizione di ottobre ci sarà una seconda residenza artistica a novembre.

Domus
Credit: Daniele Mantione.

Perché il progetto è nato proprio in Salento?

Domus è nata in Salento con l’idea di restituzione culturale e artistica al proprio territorio.
Romina De Novellis e Mariacristina Lattarulo sono entrambe originarie del Sud Italia: Romina è cresciuta tra Roma e Napoli, mentre Mariacristina è originaria di un paese vicino a Bari. Percepiscono un forte legame con il loro territorio e un bisogno identitario di parlarne, di liberarlo dagli stereotipi, di far valere le sue tradizioni in quanto valore culturale locale. Una tradizione radicata può essere segno di una comunità unita e forte. Può raccontare di un popolo, della sua libertà culturale e del suo territorio.

Anche il fenomeno del Tarantismo, che affrontiamo nel nostro lavoro, è parte della tradizione salentina e non solo. È l’espressione di un problema sociale, manifestato tramite il corpo di donne, ma anche di uomini. I sintomi del Tarantismo sono stati affrontati a livello comunitario: la comunità riceve il tuo dolore e prova risolverlo insieme a te. Ne abbiamo parlato con la fotografa Alessia Rullo, che si occupa di Tarantismo e del valore dei rituali per la costruzione della comunità. Il Tarantismo è stato una questione comune e veniva affrontato in una cerimonia comune.

Domus
Credit: Daniele Mantione.

Qual è la tematica principale che viene affrontata nel programma?

La residenza ha un impianto ecofemminista, fondato sullo sviluppo delle teorie della filosofa francese Françoise D’Eaubonne che nel 1974 teorizzò il movimento. Ecologia e questione femminile sono quindi al centro del dibattito. Anche il ritorno alle proprie origini e la relazione con il territorio sono tematiche rilevanti. Infatti, Romina De Novellis e Mariacristina Lattarulo hanno deciso di ritornare nel Sud Italia, congiungendosi nuovamente alle proprie origini. Vogliono restituire ciò che il territorio e la cultura locale ha dato loro, in quanto vita, insegnamento e casa.

Chi sono le residenti del programma 2021 di Domus Artist Residency?

Una delle residenti sono io, in veste di curatrice. Provengo dalla Romagna; ho conseguito la mia laurea triennale all’Università IULM di Milano in Arts Design e Media, con un progetto curatoriale sul fotografo Michael Wolf. Ho continuato gli studi alla nuova magistrale bilingue Arts Museology and Curatorship all’Università degli Studi di Bologna con la tesi finale Sustainability into practice. The Eco-Feminist Earthworks di Agnes Denes. Sono principalmente interessata alle pratiche curatoriali sostenibili e all’Eco Art e credo fermamente nel cambiamento concreto che l’arte può provocare.

La seconda ospite è Amber Arifeen, artista pakistana, laureata al Wimbledon College of Arts. La pratica femminista dell’artista, contestualizzata in Asia meridionale, trae ispirazione dai filosofi che ha studiato all’Università di Berkeley e dalle sue esperienze di vita all’estero e in Pakistan. Lavora come pittrice, raccontando tramite le sue opere la società pakistana, in particolare il punto di vista della classe privilegiata che paradossalmente risente degli stessi limiti sociali dell’intero paese. L’artista pratica anche come performer e come tale si è candidata alla residenza. La sua ultima esposizione di dipinti in Pakistan, Nature of and After Thought: A Posteriori è stata un successo e le ha quindi permesso di intraprendere questa esperienza in Salento.

Credit: Daniele Mantione

Quale può essere l’aspetto interessante riguardo al collaborare con un’artista internazionale come Amber Arifeen?

È interessante come le nuove forme d’arte si debbano basare sulle vecchie per sostenersi a livello finanziario. Mentre Romina De Novellis, performer affermata – la fondatrice di Domus – ha raccontato che il mercato francese è abbastanza aperto all’arte della performance, per Arifeen risulta difficile essere performer e esprimersi tramite il corpo in Pakistan. Per questo, nonostante il suo profondo interesse per l’arte performativa, si dedica spesso ad opere pittoriche che affrontano tematiche socio-politiche pakistane.


Quale progetto ha presentato l’artista Amber Arifeen in residenza?

L’artista aveva già in mente un progetto che metteva in relazione il Pakistan e il feno-meno del Tarantismo in Salento. Il Tarantismo è in realtà presente nella storia e tradizione di diversi popoli mediterranei, con nomi e espressioni differenti. Lo sfogo di una frustrazione sociale e psicologica tramite la danza e il canto esiste sotto tanti punti di vista diversi e in tanti stati diversi. Questo unisce diverse popolazioni tramite la musica e la danza, che diventano fonte di espressione del disagio attraverso la trance, come ci ha raccontato il dott. Coluccia. Sono metodi per annullare e risolvere insicurezze sociali, soprattutto di genere. L’artista ha connesso quindi la tematica del Tarantismo al Pakistan, dove la danza è mal considerata, anche se non è illegale. Nelle sue performance Arifeen danza senza coreografia, nella libera espressione del corpo, che diventa politico e cerca di liberarsi dalle catene imposte dalla società.

Rispettare una tradizione può essere una scelta, ma in alcuni casi è un obbligo. Il programma della residenza vuole soffermarsi sulle limitazioni imposte alla persona e al corpo. La donna è sempre stata oggetto di imposizioni sociali, consapevolmente e inconsapevolmente. Quando la tradizione e il comportamento diventano un’imposizione non sono più una scelta propria, ma della politica e delle istituzioni che governano il paese. Pertanto, le sue performance raccontano la libertà da queste imposizioni attraverso il ballo non coreografico, composto da gesti e movimenti che si traducono in una danza libera. Libertà di esprimersi, libertà femminile e libertà dell’ambiente. La donna si fonde nell’ambiente circostante e diventa parte di esso. Queste sono le tematiche che si intrecciano nel nostro lavoro e la danza è il loro legante. É il legante tra il Pakistan e il Mediterraneo, il legante tra la libertà e la sua assenza. Il Tarantismo esprime non solo la ribellione della mente: è soprattutto il corpo che decide di ribellarsi”.

Credit: Daniele Mantione

Per concludere, vorresti dirci cos’hai imparato da questa esperienza sia dal punto di vista curatoriale che umano?

Questa residenza è stata prima di tutto una preziosa occasione di convivenza tra persone che condividono lo stesso obiettivo: creare valore e attivare cambiamento tramite l’espressione artistica. Il lato professionale si è intrecciato con quello personale e ci siamo messe in gioco sono tutti i punti di vista. Ho imparato nuovamente perché ho scelto di intraprendere questo percorso e ho scoperto che molte persone credono nell’arte come motore di cambiamento sociale e crescita culturale. È cresciuta in me la voglia di investire il mio tempo e le mie energie su progetti politicamente impegnati, nella speranza di fare la differenza.

Come curatrice ho imparato a collaborare attivamente nel processo creativo e produt- tivo, impegnandomi con tutte le mie competenze, anche quelle che non credevo sarebbero state utili a livello professionale. Ho scoperto che nessuna abilità o conoscenza è inutile quando si tratta di approcciarsi all’arte contemporanea e lavorare nella curatela attiva. Sto curando il profilo Instagram @bringitbacktoher per comunicare la nostra ricerca e il nostro lavoro, perché credo che l’arte debba essere accessibile e comprensibile, in grado di provocare la criticità delle persone. Ho imparato da questo universo Domus, tutto al femminile, che in quanto donna ho responsabilità politiche, sociali ed ambientali, che intendo considerare ed esprimere in ogni mio lavoro futuro”.

In copertina: Credit Daniele Mantione.

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