FASE 2: COME SARANNO I MUSEI DI DOMANI?

Di Asia Graziano

Tempo di lettura: 3 minuti

Da uno studio di NEMO sugli effetti del COVID-19 sulle organizzazioni museali, cui hanno aderito 650 realtà da 41 paesi nel Mondo, è emerso che grandi musei come il Kunsthistorisches di Vienna o il Rijksmuseum di Amsterdam hanno registrato perdite di 600.000 euro a settimana, per via della chiusura al pubblico.

La perdita di introiti, in molti casi ha generato sanguinose campagne di licenziamenti. Istituzioni gigantesche sono ricorse a drastici tagli al personale, come il Guggenheim di New York, il MOCA, il LACMA di Los Ageles o lo SFMoMA di San Francisco che ha licenziato 300 impiegati.

Per non parlare del MoMA, il museo d’arte moderna e contemporanea più importante al mondo, che ha iniziato a tagliare personale proprio dal dipartimento educativo, che dovrebbe essere cuore e polmone di un’istituzione culturale.

I tagli al personale e le perdite economiche sono stati effetti negativi immediatamente percepiti, ma la domanda, ora, è come ripartire?

“Il mondo dell’arte è un mondo di socialità estrema, tra inaugurazioni e happening che non ci saranno a lungo. Se vogliamo vedere il bicchiere mezzo piEno, forse a causa del distanziamento sociale nei musei si potranno rivedere tanti capolavori con un po’ più di ossigeno attorno, senza dover far file o stare dietro a gruppi di persone che si scattano selfie”.  

Francesco Bonami

L’emergenza ha generato una vera e propria crisi, sanitaria, economica e sociale, ma la crisi per definizione etimologica è un periodo di improvviso e totale cambiamento. Se non possiamo agire sulle conseguenze negative, dobbiamo sfruttare positivamente la situazione per ripensare il museo come uno spazio che non potrà più essere come prima e questo non necessariamente sarà un male.

Di certo finalmente si dovrà e si potrà evitare il format ormai obsoleto delle mostre “Blockbuster” e degli eventi di massa: non è pensabile, almeno nei prossimi mesi e non lo sarà forse più neanche in futuro, radunare un’orda di folla attorno ai “soliti noti”, come Caravaggio o la Khalo; bisognerà ragionare meno in termini di evento e più nella ricerca e rotazione della collezione.

Mi auguro che non ci si aggiri più come greggi di pecore ammassate e confuse in una sala, nel tentativo maldestro di schivare gli assatanati di scatti per poter, solo di sfuggita, incontrare le opere.

Folla al museo. Foto del New York Times.

Andare al museo dopo il 18 maggio significherà poter riscoprire una fruizione dell’arte più intima e sincera. La distanza sociale e gli accessi contingentati garantiranno il recupero di un rapporto più diretto con l’opera.

L’istituzione museo non è statica, ma è cambiata e continuerà a cambiare nel tempo, evolvendosi insieme alla sua comunità. Il settore era già in crisi ed ora è messo in ginocchio dal virus, ma è innegabile che la quarantena cui siamo stati costretti abbia generato una nuova consapevolezza dell’importanza di quello che siamo soliti definire come superfluo e effimero.

Screenshot del tour virtuale in Pinacoteca di Brera.

Chi frequentava abitualmente i musei non vedrà l’ora di tornare a farlo e chi non ne aveva compreso o considerato la portata di intrattenimento ed educazione, l’ha sicuramente rivalutata, come dimostrano gli accessi alle collezioni online o ai contenuti messi a disposizione dalle istituzioni che hanno accettato la sfida digitale.

I musei hanno guadagnato una nuova porzione di pubblico e rafforzato quella che avevano già conquistato, si sono trovati finalmente costretti ad utilizzare e a sviluppare gli strumenti digitali, in cui solo pochi virtuosi avevano già investito prima che costituissero l’unico canale di comunicazione possibile.

Schermata twitter Getty Museum.

Sarà necessario aggiornare la formazione del proprio personale, in particolare quello dei dipartimenti e dei servizi educativi (anziché liberarsene) affinché possano comunicare e mediare tra l’opera e il pubblico non solo nella sala, con la visita guidata o il laboratorio, ma anche e soprattutto attraverso lo storytelling e il social media management. Le modalità di coinvolgimento e di fruizione del pubblico rispetto ad una collezione sono infinite, basti pensare a soluzioni come il reenact art, ovvero invitare il pubblico da casa a riproporre e ricostruire le opere d’arte di una collezione: una pratica apparentemente banale, ma coinvolgente, stimolante e alla portata di tutti, che si è rivelata per questo una strategia di successo.

Joseph Ducreux, “Self-Portrait, Yawning” (1783), oil on canvas, recreation by Paul Morris. Courtesy the J Paul Getty Museum.

Dalla pagina Istagram “Tussen Kunst en Quarantaine”, progetto supportato dal Rijksmuseum di Amsterdam. Recreation by Astrid Hulsmann.

I musei non potranno più tirarsi indietro: dovranno incrementare le occasioni di incontro e di dialogo online, gli strumenti tecnologici ci sono ed è ormai chiaro che siano per l’istituzione la soluzione migliore sia in termini di sostenibilità economica che di visibilità. I musei sono nati con l’obiettivo di conservare e di comunicare alle generazioni future il patrimonio di ieri e di oggi, ma se non si adeguano subito alle nuove modalità non ne saranno più in grado.

Ogni museo dovrebbe porsi sotto una lente di ingrandimento per capire da dove sia necessario ripartire, riflettere sui propri punti deboli e sui punti di forza emersi in questo momento critico, oltre che non dimenticare mai il fondamentale dialogo con la propria comunità di riferimento.

Sul sito dell’ICOM, nel vademecum “Museums and COVID-19: 8 steps to support community resilience” sono presenti testimonianze pratiche di come alcune realtà museali siano sopravvissute e tornate più forti di prima, dopo situazioni di grave difficoltà economica e sociale, anche legate a calamità naturali e questo dimostra come si possa sempre imparare dal passato, insieme ad esempi di buone pratiche da cui lasciarsi ispirare.

In copertina: Interno del Solom R. Guggenheinm Museum, prima del Covid-19. Foto di Alexandra Vender.

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