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La funzione primaria del museo è quella di conservare, tutelare, comunicare e valorizzare la propria collezione. In un’epoca in cui i musei si configurano sempre più come aziende, emerge la difficoltà di conciliare l’aspetto economico manageriale con quello educativo e conservativo. Se a questo quadro si aggiunge poi una pandemia, ecco che il caso di Venezia, ci mostra chiaramente quali siano le priorità dei vertici museali.

La decisione del cda del Muve
I musei civici di Venezia infatti resteranno chiusi fino al primo di aprile. Il cda della Fondazione che riunisce gli spazi espositivi di Palazzo Ducale, Ca’ Rezzonico, Correr, Ca’ Pesaro, Palazzo Fortuny, il Museo di Storia Naturale, Mocenigo e altri quattro musei della laguna, ha annunciato la chiusura prolungata fino a primavera, indipendentemente dalla riapertura solo parziale (limitata alle zone gialle e ai giorni feriali) annunciata dal Ministero per il 15 di gennaio.
La decisione, contestata da Cgil e Uil che avevano già manifestato davanti a Palazzo Ducale in luglio, chiedendo una riduzione della cassa dal 90% al 25% delle ore lavorabili, è stata giustificata dall’assenza di turismo nella città e quindi, dal conseguente calo della vendita dei titoli di ingresso.

La decisione è arrivata nonostante la Fondazione risulti in testa all’elenco dei musei che hanno inoltrato domanda al governo per il ristoro dei mancati incassi, ricevendo un contributo pari a quasi 7 milioni di euro e chiudendo così il 2020 in attivo rispetto al suo budget annuale. Insomma, i musei veneziani non sono di certo più in difficoltà delle altre realtà espositive in Italia, anzi.

La logica economica dietro la Chiusura
Si insinua dunque il dubbio sull’operato della Giunta Brugnaro che guida la Fondazione. Perché posticipare il rilancio, a prescindere dal decreto governativo e da tutte le misure di prevenzione anti-covid messe in campo da mesi per assicurare visite distanziate, compresi gli slot di ingresso ridotti e i moderni rilevatori di temperatura?
Sembra che la decisione sia legata al fatto che, con tutti i dipendenti in cassa integrazione al 100% sino ad aprile, la Fondazione risparmierà altri 600 mila euro in vista di una stagione più florida legata all’incoming straniero.
Una logica economica che svilisce e annienta la funzione pubblica del museo, che ha come mission il servizio alla comunità.

La chiusura inoltre, non è circoscritta agli addetti alle relazioni con il pubblico – come la logica porterebbe a supporre – ma è estesa a tutto il settore scientifico (curatori, archivisti e restauratori) che invece potrebbe concentrarsi sulla programmazione e lo studio delle collezioni, elementi fondamentali per l’esistenza e l’adeguato funzionamento di un museo.

La proposta dei sindacati
Le organizzazioni sindacali hanno proposto di far accedere i lavoratori al Fondo Nuove Competenze istituito dal governo, che prevede il pagamento di 250 ore di formazione per lavoratore, pari circa a tre mesi di stipendi pagati. Questo garantirebbe un risparmio per le casse della Fondazione, fornendo allo stesso tempo un aggiornamento utile al personale e alla mission delle istituzioni.
In attesa che la Fondazione accetti tale proposta, la cultura a Venezia resterà comunque chiusa, senza neanche aver investito adeguatamente in forme di coinvolgimento e divulgazione digitale.
Si confida però, nella riapertura delle Gallerie dell’Accademia, che già a maggio si erano distinte come la prima realtà museale italiana ad aver accolto i visitatori dopo il primo lockdown.

In copertina: Protesta dei lavoratori museali di fronte Palazzo Ducale © Il Fatto Quotidiano.