Il DIRITTO AL PATRIMONIO CULTURALE E IL RUOLO DELLA COMUNITÀ: L’ITALIA RATIFICA LA CONVENZIONE DI FARO

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L’ITER LEGISLATIVO

patrimonio culturale
Il Palais de l’Europe a Strasburgo, sede del Consiglio d’Europa. Credit.

Il 27 ottobre del 2005 gli Stati membri del Consiglio d’Europa, riunitisi nella città di Faro, hanno stipulato la Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società, che sancisce e riconosce, per ciascun individuo, il diritto al patrimonio culturale.

Ad oggi, sono 20 i paesi che hanno sottoscritto e ratificato la Convenzione. Tra questi non figurano Francia, Germania, Spagna (che l’ha invece sottoscritta nel 2018) e Gran Bretagna.

Quanto all’Italia, ci sono voluti diversi anni perché il Parlamento avviasse l’iter legislativo e giungesse, infine, ad una decisione, quella cioè della ratifica, approvata il 23 settembre scorso con 237 voti favorevoli, 119 contrari e 57 astenuti.

Alla sottoscrizione del documento, avvenuta nel 2013, infatti, non fece immediatamente seguito la discussione parlamentare che, anzi, arrivò solo nel 2017. Da allora si sono registrati ritardi e impedimenti (fine della legislatura ed emergenza sanitaria su tutte), che hanno fatto sì che l’approvazione definitiva slittasse di qualche anno.

OBIETTIVI E DEFINIZIONI: il patrimonio culturale

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Il Tempio di Nettuno a Paestum. Credit.

Tra gli obiettivi della Convenzione, previsti dall’art. 1, si segnala:

  • riconoscere che il diritto al patrimonio culturale è inerente al diritto di partecipare alla vita;
  • riconoscere la responsabilità individuale e collettiva nei confronti del patrimonio culturale;
  • sottolineare che la sua conservazione ha come obiettivo lo sviluppo umano e la qualità della vita;
  • adottare misure riguardo al suo ruolo nella costruzione di una società pacifica e democratica, nei processi di sviluppo sostenibile e nella promozione della diversità culturale.

Ma cosa si intende per “patrimonio culturale”? L’art. 2, lettera a, lo definisce come «un insieme di risorse ereditate dal passato che alcune persone identificano […] come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni. Esso comprende tutti gli aspetti dell’ambiente che sono il risultato dell’interazione nel tempo fra le persone e i luoghi».

A questa si affianca il concetto di “patrimonio comune dell’Europa“, vale a dire «tutte le forme di Patrimonio Culturale in Europa che costituiscono nel loro insieme una fonte condivisa di ricordo, di comprensione, di identità, di coesione e creatività» (art. 3, lettera a).

il concetto di “patrimonio culturale” e il ruolo della “comunità patrimoniale”

Le novità presentate dalla Convenzione prestano il fianco ad alcune importanti riflessioni. A cominciare da quella di natura terminologica. Se nel testo originale la Convenzione parla di “cultural heritage“, nella sua traduzione italiana (non ancora ufficiale), invece, ci si riferisce a quest’ultima con l’espressione “patrimonio culturale“, con implicazioni profondamente differenti rispetto a quelle già previste dall’art. 2 del D.Lgs 42/2004.

Quella che viene offerta, quindi, è una dimensione particolarmente ampia del termine, che sancisce il passaggio da un concetto di patrimonio incentrato sulle “cose” ad uno incentrato sulle “persone. E se il primo richiede un necessario intervento pubblico ([…] «individuati dalla legge o in base alla legge»), il secondo può prescinderne, in quanto definito dalla comunità.

Viene inoltre riconosciuto il ruolo attivo del patrimonio culturale nella costruzione di una società pacifica e democratica (art. 1 e Parte II).

La seconda novità riguarda il rapporto diritti/responsabilità (art. 4) di quella che la Convenzione individua come “comunità patrimoniale“: «un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici dell’eredità culturale, che essi desiderano […] sostenerli e trasmetterli alle generazioni future» (art. 2, lettera b).

REAZIONI E INTERPRETAZIONI

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Le reazioni della Lega nell’aula di Montecitorio. Credit.

La definitiva ratifica della Convenzione ha suscitato reazioni trasversali e contrastanti. Alla soddisfazione della maggioranza e degli specialisti, che hanno sottolineato l’apporto rivoluzionario del documento, si è opposta, infatti, la polemica degli esponenti del centrodestra. La convinzione è che il documento acconsenta a censurare le opere d’arte qualora queste urtassero la sensibilità di alcune culture, tra cui quella islamica.

Gli articoli a cui rifarsi sono, in questo caso, due. Innanzitutto l’art. 4 stabilisce che l’esercizio del diritto al patrimonio culturale può subire limitazioni solo per la protezione dell’interesse pubblico e degli altrui diritti e libertà.

A tal proposito, la nota esplicativa che accompagna la Convenzione sottolinea che l’interesse pubblico «must always be balanced against the need to protect individual property rights», e che questi vadano riferiti alla Convenzione europea sui diritti dell’Uomo.

L’art. 7, invece, invita le Parti a stabilire, nel rispetto per le diversità delle interpretazioni, «procedimenti di conciliazione per gestire equamente le situazioni dove valori tra loro contraddittori siano attribuiti allo stesso patrimonio culturale da comunità diverse». Anche in questo caso la nota esplicativa evidenzia il ruolo attivo del patrimonio culturale «in promoting mutual understanding and tolerance between the many communities within Europe».

Insomma, è chiaro che lo spirito di questa Convenzione sia orientato al dialogo, al confronto e al rispetto delle diversità culturali, in un clima di condivisione ed educazione dei diritti e delle responsabilità altrui.

In copertina: credit.

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