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Suonano alla porta.
“Posta!”
Un pacco.
Un baule.
Ha l’aria di essere prezioso.
C’è frenesia nello schiuderlo.
Una bambola. Indossa un completo meraviglioso.
“Pronto? Dior? Vorrei quest’ abito nelle mie misure. Grazie!”
Da questa realtà incredibile del dopoguerra è partito Matteo Garrone per il suo cortometraggio “Dior – Le Mythe”. Il racconto di una favola della casa di moda e del suo baule magico che negli anni ’60 arrivava alle signore portando loro le miniature degli abiti che avrebbero potuto acquistare.

Dopo-guerra/dopo pandemia? Forse sì. Maria Grazia Chiuri, direttrice creativa della Maison Dior, ha voluto recuperare proprio questo sogno dimenticato e oggi così emozionante da sembrare addirittura inverosimile, per ripartire e mostrare al mondo la sua nuova collezione.
Una collezione a misura di bambola: 37 pezzi in scala 4:10 che, dopo la realizzazione del film, hanno veramente raggiunto le case delle clienti Dior Couture.

Ogni sarta ha realizzato con cura ogni piccolo dettaglio di ogni abito. I manichini sono stati fatti ad hoc, come le rifiniture, tanto che il desiderio è quello di voler essere minuscole ed entrare per davvero in questi piccoli completi!
Forse proprio da un pensiero siffatto è partito Garrone: fate, ninfe e sirene meravigliose in un giardino incantato (il Giardino di Ninfa, in provincia di Latina, considerato dal New York Times il giardino più bello del mondo). Qui si vede arrivare, con due portantini, il baule contenente gli abiti dei loro sogni.
Il ritmo del film è lento ma sostenuto grazie alla musica composta appositamente da Paolo Buonvino, musicista e compositore italiano. La musica incalza leggera come lo svolazzare dei tessuti ricercati tra i boschi di legno di bamboo. Tra le luci che filtrano tra i rami e l’acqua cristallina dei ruscelli, fanno capolino le scene delle sarte al lavoro: il dietro le quinte -più realistico che mai- della realizzazione di questa fiaba antica e moderna. Il reale dietro l’irreale.
Adoro la capacità degli artisti di cogliere le necessità del loro tempo. A maggior ragione oggi che la necessità è quella di potersi stupire e meravigliare ancora della bellezza. Dopo tanto pattume che la rete si ostina a propinarci quotidianamente, dopo tanto dolore, tante certezze scomparse.
E ciò sempre più consapevoli di chi si nasconde dietro il capolavoro: sarte, falegnami, disegnatori, montatori, rifornitori, rifinitori, giardinieri. Per questo il regista ci ha tenuto a non mostrare solo il cinema, la favola, ma anche le maestranze, ovvero chi rende possibile la magia, chi cuce l’emozione.

E se dal passato bisogna imparare, ecco gli innumerevoli riferimenti di Matteo Garrone al mondo dell’arte: ritroviamo Il Narciso di Caravaggio nel ragazzo che si specchia nell’acqua (1597), l’Apollo e Dafne di Waterhouse nei due amanti (1622/25), e molti riferimenti alla famosa Primavera di Botticelli (1510).

Così il cortometraggio gioca in una continua commistione tra cinema, arte e moda senza continuità di causa. E qui vi è il messaggio più forte dell’opera: la bellezza non si può catalogare ma solo scoprire.
Impariamo a riconoscerla in tutti. Dalle mani che tengono l’ago e il filo, a quelle che hanno intrecciato le foglie d’edera intorno alle teste dei modelli. Da quelle che posizionano la macchina da presa fino alla firma registica di questo progetto straordinario.
In copertina: Una scena dal corto di Matteo Garrone. Credit.