Di Annalisa Biggi
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L’artista conosciuto come Banksy non è in alcun modo coinvolto in questa mostra. Il materiale per questa esposizione museale proviene interamente da collezioni private. Per quanto riguarda l’artista, il suo ufficio è stato informato.
Questa la postilla all’introduzione della mostra “Il secondo principio di un artista chiamato BANKSY“ – a metà strada fra un’indicazione e un avvertimento – che introduce al dibattito che accompagna da sempre la produzione dell’artista di Bristol.
Il suo disappunto verso le manifestazioni artistiche tradizionali è ormai celebre, eppure ciò non sembra intralciare la visibilità delle sue opere, bensì enfatizzarne la diffusione ben al di fuori del circuito artistico, con il conseguente uso (ed abuso) di tali figurazioni. L’esposizione di Genova, infatti, è una cartina tornasole che certifica l’ampliamento del “fenomeno Banksy”, giunto a colonizzare anche il capoluogo ligure, timidamente orientato al contemporaneo.
La mostra si snoda in modo organico tra opere di diversa tipologia che coprono la sua produzione dagli anni ’90 ad oggi. Dipinti, serigrafie e, addirittura, copertine di vinili e t-shirt concorrono a mostrare la poliedricità di un artista aperto al mondo, pronto a fare propri i sistemi ed i meccanismi accettati socialmente per, poi, sconvolgerli dall’interno. È un cortocircuito quello di Banksy, che strizza l’occhio al sistema comunicativo occidentale per usarlo a proprio piacimento, per scomporlo al fine di mostrarne il funzionamento.
Le sue immagini sono sorprendenti nella loro semplicità, immediatamente individuabili e comprensibili – una bambina con un palloncino, un giovane manifestante in protesta – ma tutto prende una diversa significazione, tramite piccoli accorgimenti che capovolgono l’originaria interpretazione, lasciando spazio all’analisi di temi di ampio respiro quali il capitalismo, la guerra e la libertà. L’elemento familiare muta agli occhi di chi lo percepisce, perdendo la sua originale connotazione per trasformarsi in un fenomeno unheimlich, perturbante, che crea spaesamento.
Immagine 1: Banksy, Love Is In The Air, Flower Thrower, 2005, Ash Salon Street, Bethlehem, West Bank, Foto: Zahi Shaked/YouTube. Fonte: Public Delivery. | Immagine 2: Banksy, Love is in the air, Flower thrower, 2003, serigrafia su carta, collezione privata. Banksy, Grenade, 1999, spray su pennello, Londra, collezione privata. Foto di Annalisa Biggi.
Banksy parte, infatti, dal dato noto e attua su di esso un vero e proprio détournement (=deviazione o dirottamento), mediante il capovolgimento di forme e immagini popolari. Questo modus operandi permette la formazione di nuovi significati e la conseguente attivazione di un livello più alto di attenzione nell’osservatore, invitato a sviluppare un più profondo e consapevole senso critico.
A confermare l’azione politicamente impegnata dell’artista e il suo modo di sovvertire stilemi socialmente radicati, servono alcuni oggetti qui esposti, tratti da luoghi quali Dismaland, il dissacrante parco “divertimenti” realizzato da Banksy nel 2015 a Weston–super–Mare, alter ego del celebre Disneyland, e The Walled Off Hotel, l’albergo “con la vista peggiore al mondo”, per usare le stesse parole dell’artista, aperto a Betlemme nel 2017 di fronte al muro che divide israeliani e palestinesi. Questi luoghi, di forte fermento politico e sociale, sono altresì occasione di organizzazione di azioni collaborative fra diversi artisti, invitati a lasciare il loro contributo entro una cornice di evidente identità critica.
Una parte rilevante dell’azione curatoriale in questa mostra, sono le riflessioni critiche e le citazioni affisse alle pareti dello spazio espositivo che, oltre a creare il contesto narrativo dei lavori, richiamano il loro essere, almeno nell’intenzione iniziale, frutto di un intervento volto alla conquista dello spazio “fuori dalla cornice”.
Non possiamo fare nulla per cambiare il mondo finché il capitalismo non si sgretola. Nel frattempo, dovremmo andare tutti a fare acquisti per consolarci.
Banksy.
Queste sue parole sembrano cogliere perfettamente il taglio critico dell’esposizione. L’impressione che si ha, infatti, è che, pur nel rilassamento del percorso della mostra, si compia a tutti gli effetti un’analisi sul sistema capitalistico occidentale, sui suoi miti e le sue utopie, i suoi limiti e le sue contraddizioni, sempre nel rispetto delle “confortevoli” regole artistiche tradizionali.
Il secondo principio di un artista chiamato BANKSY
Palazzo Ducale, Piazza Giacomo Matteotti, 9 – Genova
Fino al 20 marzo 2020
Foto dell’autrice.
In copertina: Banksy, Grannies, 2006, serigrafia su carta, collezione privata. Fonte: Artrust.