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«[…] La mia aspirazione è di nobilitare la fotografia e di assicurarle il carattere e le qualità di una grande arte combinando insieme il reale e l’ideale e nulla sacrificando della verità pur con tutta la possibile devozione alla poesia e alla bellezza».
Julia Margaret Cameron
Condensate in queste poche righe, scritte il 31 dicembre 1864 allo scienziato John Herschel, troviamo tutta la personalità e il carattere di Julia Margaret Cameron insieme alla sua visione della fotografia, a cui si è dedicata con passione e profonda dedizione.
La sua è stata una vita ricca di viaggi e di conoscenze illustri come, ad esempio, quella con Charles Darwin – di cui ci ha lasciato un intenso ritratto – o con i pittori preraffaelliti William Holman Hunt, John Everett Millais ed Edward Burne-Jones.
Julia nasce a Calcutta l’’11 giugno 1815. La madre era un’aristocratica francese, mentre il padre, Sir Pattle, un ufficiale inglese della British East India Company. La piccola Julia viene educata in Francia, dove rimase fino al 1838, anno del matrimonio in India con Sir Cameron.
Nel 1848, la coppia si sposta a Londra dove conosce e frequenta artisti, intellettuali e scrittori. Julia ha sei figli e ne ha adottati altrettanti; è una madre presente e molto impegnata a crescere i suoi dodici bambini. Nel 1860 la famiglia Cameron acquista una proprietà sull’isola di Wight, accanto alla tenuta del poeta Alfred Lord Tennyson. La casa dei Cameron, ribattezzata Dimbola Lodge, ospita oggi un ricco museo sulla fotografa inglese.

Julia si avvicina alla fotografia per caso nel 1863, in occasione del suo quarantottesimo compleanno, quando una delle figlie le regala una rudimentale macchina fotografica con la speranza di riempire le giornate della madre non più occupata a crescere i figli. A metà Ottocento la fotografia è un’attività prettamente maschile e di carattere remunerativo, legata in particolare alle commissioni di ritratti singoli e di famiglia. La Cameron, al contrario, fotografa per sé stessa e considera quest’arte come un mezzo di pura espressione personale.
Il suo laboratorio è la sua casa sull’isola di Wight, dove presto adibì a studio un ex pollaio, che ribattezzò Glass House. Il primo scatto documentato di Julia risale al 1864 ed è il ritratto di Annie, una bambina del posto che la Cameron immortala con semplicità e delicatezza e con quel “fuori fuoco” che diventerà poi la sua caratteristica firma.

Solo dopo due anni dall’inizio della sua passione, Julia espone al South Kensington Museum (oggi Victoria and Albert Museum) grazie alla stima del fondatore e direttore del museo Henry Cole che nel 1868 adibirà addirittura due sale del museo a studio per i ritratti di Julia. Le prime uscite pubbliche della Cameron non sono ben accolte, forse perché si tratta di una donna, Sicuramente i critici del tempo non apprezzano affatto il risultato sfuocato delle foto della Cameron, imputato a una scarsa abilità nel maneggiare la macchina fotografica: ricordiamo che all’epoca i tempi di posa erano molto lunghi: tra i tre e i sette minuti, Ma Julia ha fin da subito difeso il suo stile rarefatto e fuori fuoco affermando che per lei la fotografia non è una mera registrazione del reale, ma un mezzo per esprimere un mondo simbolico, immaginario e interiore.
Per molti storici, è proprio con lei che ha inizio in fotografia una ricerca artistica del tutto autonoma rispetto al prolifico mercato di ritratti. Il suo lavoro ha comunque presto ricevuto il giusto apprezzamento, tanto da essere stata ammessa, prima donna, alla Royal Photographic Society.

I suoi scatti sono carichi di un’aura sospesa di misticismo, tenerezza e sensualità. I volti che immortala emergono dall’ombra e sono espressivi, malinconici, molto ravvicinati e soprattutto di un formato grande quasi come il reale. Nell’autobiografia incompiuta Annals of my Glass House (1889), Julia stessa spiega il carattere dei suoi ritratti:
«Quando avevo davanti alla macchina fotografica uomini di tale levatura, tutta la mia anima si sforzava di fare il suo dovere nei loro confronti registrando fedelmente nello stesso tempo la grandezza del loro io interiore e le caratteristiche esteriori. La fotografia fatta con questo spirito era quasi l’incarnazione di una preghiera».

Oltre ai ritratti, Julia si dedica con grande fantasia e creatività alla composizione di elaborate mise en scène, ispirate alla letteratura e all’iconografia sacra e influenzate soprattutto dal linguaggio preraffaellita, dal Romanticismo e dal Gothic Revival di età Vittoriana.
Le sue composizioni complesse, raffinate e dalle atmosfere sospese richiamano la pittura contemporanea e, per questo, anticipano il movimento pittoricista nella fotografia di fine Ottocento. Julia compone scene teatrali e complesse, curate nei minimi dettagli, noleggiando abiti elaborati che fa indossare ad amici e visitatori dell’isola di Wight e chiedendo aiuto alle sue cameriere per farle da assistenti fotografe. Il punto più alto raggiunto da Julia in questo filone sono le dodici fotografie ad illustrazione dell’opera di Alfred Lord Tennyson Idylls of the King (1874) a cui lavora con grande dedizione, lasciandoci più di duecento scatti.

La carriera di Julia ha avuto una brusca cesura nel 1875, quando deve seguire il marito a Ceylon. Di quest’ultimo periodo in India non abbiano fotografie firmate: Julia non si dedica più con assiduità alla sua arte per la difficoltà nel reperire i materiali e quei pochi scatti che fa stampare da una ditta del posto decide di non firmarle perché non può assistere al processo di sviluppo e stampa.
Gli ultimi anni di Julia sono stati senza fotografia: muore a Ceylon il 26 gennaio 1879 a sessantaquattro anni.
In copertina: Julia Margaret Cameron, After Perugino: The Annunciation, stampa all’albumina, 1865, San Francisco, Museum of Modern Art