LO STRANO CASO DI SAN SEBASTIANO: DA MARTIRE A ICONA GAY

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CHI ERA SAN SEBASTIANO?

Secondo Ambrogio di Milano, il suo agiografo, Sebastiano era un capitano della guardia pretoriana. Non a caso infatti è il santo patrono di soldati e atleti. Era cristiano e convertiva al Cristianesimo i romani. Proprio questo fu il motivo della sua morte. Lo conosciamo soprattutto come soggetto di opere d’arte rinascimentali in cui viene mostrato legato a una colonna e trafitto dalle frecce, simbolo del martirio.

IL MARTIRIO DI SAN SEBASTIANO

San Sebastiano secondo la tradizione, a differenza dell’iconografia, sarebbe stato trafitto dalle frecce, ma non ucciso. Pare, infatti, che il martire fosse stato
salvato e accudito fino alla guarigione da Santa Irene da Roma prima di rimproverare incautamente Diocleziano per il suo paganesimo mentre passava su una lettiga. L’imperatore in risposta bastonò Sebastiano a morte. La storia dell’arte ha tramandato anche se con minor frequenza, anche l’iconografia della guarigione, favorita da Irene. A farlo sono stati specialmente artisti fiamminghi come Georges de La Tours, ma anche pittori italiani come Artemisia Gentileschi.

L’ICONOGRAFIA DI SAN SEBASTIANO

San Sebastiano
Guido Reni, San Sebastiano, Musei Capitolini, Roma foto di Google Art & Culture

L’immagine di San Sebastiano trafitto ha avuto un’incredibile fortuna figurativa nei secoli. Pittori come Rubens, Botticelli e Tiziano, Crivelli, Gerrit Honthorst e Luca Signorelli lo hanno reso protagonista delle loro tele.

Mantegna ritrae un San Sebastiano con un addome scolpito al massimo grado e la faccia sofferente, mentre le frecce lo trapassano. La raffigurazione di San Sebastiano come un efebo a torso nudo, trafitto da frecce ma non sfigurato, prende sempre più piede nel Rinascimento fino a essere associata alla presunta omosessualità degli artisti che lo raffigurano. Un caso molto noto è quello di Giovanni Antonio Bazzi, soprannominato da Vasari “il Sodoma”. La scelta iconografica viene ritenuta alla stregua di un coming out per gli artisti.

San Sebastiano
Il Sodoma, San Sebastiano, 1525, Gallerie degli Uffizi © Wikipedia


Guido Reni in particolare ha ripetuto il fortunato soggetto un numero incredibile di volte, almeno otto. Si tratta di tele eseguite intorno al 1610, quando Guido trentenne era appena tornato da Napoli. Alcune di queste possono essere attribuite al buonsenso politico. Bologna era stata annessa allo Stato Pontificio nel XVI secolo, e Sebastiano era il terzo santo di Roma. Forse però, questa motivazione ufficiale nascondeva un interesse personale e una sorta di irresistibile attrazione verso il soggetto.

Secondo il suo biografo Carlo Cesare Malvasia, Reni “diventava di sasso” in presenza delle modelle femminili e visse con sua madre fino a cinquantacinque anni. Dopo la sua morte rifiutò di avere donne in casa o che una donna gli facesse il bucato.

Sebastiano è, senza ombra di dubbio, un santo maschile, ma il suo martirio è l’incarnazione della passività femminile. Come la Vergine, è trafitto ma puro. Lontani dall’essere omoerotici, i Sebastiani di Reni sono anti-erotici, una cancellazione della sessualità da parte di un uomo che non sembra aver amato né uomini, né donne.

Al di là dell’interpretazione di Reni, è evidente la trasformazione dell’iconografia del santo da un uomo di mezza età bizantino ad un ragazzino barocco glabro e sensuale.

Nella chiesa di San Pietro in Vincoli a Roma dal 287 d.C. giacciono i resti del martire trafitto. Qui, in una nicchia sulla sinistra, c’è un mosaico del VII secolo che rappresenta un uomo maturo, con la barba, vestito in abiti di corte bizantini. L’intitolazione della chiesa potrebbe farci pensare che si tratti di San Pietro, ma non è così. Il santo ritratto è invece proprio Sebastiano. Nelle opere rinascimentali come nel Polittico della Misericordia di Piero della Francesca, dipinto due secoli prima le opere di Reni, il Sebastiano è giovane, sensuale, con la pelle liscia e luminosa.

Una fascinazione visiva che non si limita all’arco cronologico e culturale del Rinascimento italiano. Il San Sebastiano continua a essere un’immagine evocativa e di riferimento per l’immaginario visivo della comunità gay, specialmente in ambito artistico. Lo dimostrano gli scatti dei fotografi francesi Pierre & Gilles che alla fine degli anni Ottanta creano una famosa serie di “santini”.

San Sebastiano
Pierre & Giles, San Sebastiano, 1987 © Pierre & Giles

La moda e l’arte si sono sempre contaminate e sfiorate. Non solo pittori rinascimentali e fotografi contemporanei, ma anche le grandi case di moda hanno scelto il San Sebastiano e la sua iconografia.

Celebre è la campagna fotografica di Versace diretta da Bruce Weber nel 1996. Il giovane modello dal fisico stauario ha il ventre trafitto dalle frecce che non sembrano scalfirne la bellezza e che non si trasformano in dolore e sofferenza. Al contrario, la figura è calma, rilassata, in un’irrealistica condizione di assenza di turbamento.

Bruce Weber, San Sebastiano, 1996, campagna pubblicitaria per Versace © RegeneratorG1

IL CODICE DI SAN SEBASTIANO

La figura del martire è stata anche attenzione di molti letterati, primo fra tutti Oscar Wilde che, durante il suo esilio francese, adottò perfino lo pseudonimo “Sebastian Melmoth”.

Le Martyre de Saint Sébastien, opera composta nel 1911 da Debussy su libretto di D’Annunzio, è la prima opera a suggerire in modo esplicito la presunta omosessualità di San Sebastiano. Come interprete del santo, D’Annunzio scelse la ballerina russa, ebrea e bisessuale Ida Rubinštejn. La carica spiccatamente erotica del libretto non lascia dubbi sulla natura della relazione tra Sebastiano e l’imperatore Diocleziano. Il santo sembra più volte sul punto di cedere alle sue dichiarazioni d’amore, salvo tirarsi indietro di fronte alle parole: «E distribuisco anche il piacere. E può esser tuo. Resta». L’opera, subito messa all’Indice dei libri proibiti, acquisterà fama e lodi solo nel 1926, una volta tradotta in italiano e riproposta alla Scala da Toscanini.

Del santo parlò anche Thomas Mann, nel suo discorso ufficiale in occasione del ritiro del Premio Nobel: La grazia nella sofferenza: è questo l’eroismo simbolizzato da san Sebastiano” disse Mann; aggiungendo:
“L’immagine può essere audace, ma sono tentato di rivendicare questo eroismo per la mente tedesca e l’arte tedesca”. Era il 1929. Qualche anno dopo gli omosessuali subiranno deportazioni e rastrellamenti nella Germania nazista.

Per Yukio Mishima, scrittore giapponese, il suo martirio simbolizza il piacere erotico della sofferenza. La narrazione autobiografica Confessioni di una maschera vede come protagonista lo stesso Mishima, che racconta di avere la sua prima eiaculazione proprio su una riproduzione del Sebastiano di Reni. Mishima si fece anche fotografare mentre impersonava il santo.

Yukio Mishima come San Sebastiano foto di Eikoh Hosoe

Il film “Sebastiane” (1976) di Derek Jarman presenta un giovane San Sebastiano in perizoma per investigare la sovrapposizione tra l’estasi sessuale e quella spirituale.

La scrittrice e attivista politica Susan Sontag ha invece notato che sul viso di San Sebastiano non c’è traccia dell’agonia del suo corpo. La sua bellezza e la sua sofferenza sono eternamente disgiunte l’una dall’altra.

Non possiamo ricostruire con certezza il motivo dell’interesse che la figura di San Sebastiano ha generato nella cultura visiva di massa e prima ancora nell’iconografia pittorica. Certo è che, una volta codificato come giovane trafitto non mortalmente dalle frecce, la sua immagine è sempre stata caricata di particolare fascino e sensualità.

In copertina: Scuola di Guido Reni, San Sebastiano foto di Pigozzo Fine Art

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