Di Martina Picciallo
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“Mi ricordo benissimo, era l’estate del 1893. Una serata piacevole, con il bel tempo, insieme a due amici all’ora del tramonto. Cosa mai avrebbe potuto succedere?
Il sole stava calando sul fiordo, le nuvole erano color rosso sangue. Improvvisamente, ho sentito un urlo che attraversava la natura. Un grido forte, terribile, acuto, che mi è entrato in testa, come una frustata.
D’improvviso l’atmosfera serena si è fatta angosciante, simile a una stretta soffocante: tutti i colori del cielo mi sono sembrati stravolti, irreali, violentissimi. Anch’io mi sono messo a gridare, tappandomi le orecchie, fatto solo di occhi e di bocca, senza corpo, senza peso, senza volontà, se non quella di urlare, urlare, urlare… Ma nessuno mi stava ascoltando: ho capito che dovevo gridare attraverso la pittura, e allora ho dipinto le nuvole come se fossero cariche di sangue, ho fatto urlare i colori. Non mi riconoscete, ma quell’uomo sono io.”
- E. Munch
Così il pittore Edvard Munch racconta il fatto reale all’origine della sua opera più celebre, emblema di tutto il Novecento: L’urlo .
L’Urlo è un’esperienza personale del pittore norvegese che si trasforma nella percezione di un sentimento universale.
L’essere che vediamo frontalmente in primo piano ha poco di umano: la sua sagoma è flessuosa, priva di consistenza. Al posto della testa vi è un enorme cranio deformato in un urlo insostenibile; mentre la bocca, punto nevralgico della composizione, è spalancata in uno spasmo innaturale. L’uomo urla tenendosi le mani strette sulle orecchie come per attutire il suono del grido, che si propaga in onde sonore che investono la terra e il mare, dando loro l’aspetto di un insieme di pieghe convulse. È come se l’urlo riuscisse a espandersi nell’aria, creando un gorgo che risucchia il mondo interno.
Che vivere sia una faccenda seria è una acquisizione stabile della nostra vita adulta. I più sfortunati (o fortunati?) ne hanno la giusta percezione ancor prima, quando muovono i primi passi a ritmo del ballo dell’esistenza. Ma quando la musica finisce, come nel gioco delle sedie, bisogna correre per assicurarsi quella stabilità che salva, letteralmente, il proprio Io.
La domanda sorge spontanea: coloro i quali restano in piedi, fuori dal cerchio, chi li salva?

E allora eccoci qui: complici dello schema moderno. Munch ci presenta l’erosione delle certezze: una chiave di lettura profonda, necessaria per chi vive in questa bufera dove spira impetuoso il vento. Coscienza, individuazione e corporeità sono caratteristiche essenziali della nostra specie, le quali ci permettono di non sentirci assoluti estranei nel mondo reale. L’identità di un individuo, la sua dignità, devono essere tutelate per evitare che singole persone possano sentirsi abbandonate da un mondo nel quale rimane una tendenza alla crisi dell’Io. Quest’ultimo sempre più inadeguato e governato dalla paura, non riesce di vivere a pieno perché in balia di un universo inconscio che si muove dentro come magma che risale in superficie, segno di una battaglia interiore e nascosta. È un viaggio nel deserto dal quale è necessario uscire, ma nel miglior modo possibile: lavorando sulla paura e trasformarla in ricchezza. Un percorso di crescita da anonimo individuo a consapevole persona. L’esilio dell’essere e il disincanto sono tipici del soggetto perduto sulla terra, la stessa, che gli dà l’illusione di esserne padrone, tanto da riuscire a smascherare, attraverso le sue spettacolari e violente esplosioni, tutte le umane fragilità.
Ed è qui, risaltandone la sua immobilità umana e la scomparsa di partecipazione, che si avverte il timore.
Quest’opera è diventata il simbolo delle ansie e delle inquietudini di un’epoca. «L’Urlo» è l’anticipazione dei drammi psicologici che gli espressionisti faranno esplodere fin dai primi anni del Novecento. Nell’arte torbida del norvegese ogni speranza non è concepita. Chissà cosa direbbe oggi Munch dei nostri tempi: le certezze entrano in crisi di fronte alle prepotenti istanze del nuovo uomo moderno. Certo, l’autonomia individuale, ma il costo di questa conquista è anche una nuova condizione del soggetto fatta di solitudine, perdita di controllo su ciò che lo circonda. Ecco che l’ansia, malattia dell’uomo contemporaneo, diventa il tema della letteratura e dell’arte. Come i letterati della sua generazione, anche Munch fa dell’interiorità la vera protagonista della sua arte, che trasforma la realtà esterna nel dramma dell’anima. In questa giungla urbana che viviamo, la solitudine è la condizione dell’uomo solo, circondato da tante persone che lui stesso a volte definisce estranee, lontane dalla tragedia del mondo come involucri chiusi nella propria irrimediabile incomunicabilità.

Manichini di una vetrina siamo, sicuramente più aperti e pronti rispetto alla generazione dei nostri nonni, ma è anche vero che sempre più si corre il rischio, se non si allena un buon senso critico e distaccato da questa fiction che ci vorrebbe costringere a far recitare una parte non nostra facendoci piegare a questo talk show “alla Truman” fornendoci sempre il gettone di presenza, di risultare falsi, frustrati e infelici, camminando sull’orlo della crisi esistenziale. In questo marasma urbano, l’individuo viene dissolto abbandonandosi al pensiero della folla quando non riesce ad alimentare abbastanza il suo animo, non riesce a dargli una forma solida e il pensiero diventa fluido, si adatta all’unico contenitore disponibile e come Dedalo si erge a costruttore del suo labirinto che non ha uscite di sicurezza se non si è in grado di crearle.
Chi guarda L’Urlo riceve uno schiaffo e incontra quell’ansia riconoscendovi la propria. Il bisogno di urlare per farsi ascoltare è il risultato del baratro umano, del culmine che gli uomini di questo secolo avvertono e toccano e che non lascia loro nient’altro se non la voglia di esternare i loro pensieri attraverso un grido d’aiuto. Purtroppo però, questo non sortisce l’effetto desiderato: i due uomini che precedono il personaggio principale sono incuranti di ciò che succede alle loro spalle. Questo ci lascia pensare che l’urlo sia interiore, un urlo che solo chi emette o accoglie può avvertire, così come i brucianti sentimenti che lo generano. Il mondo continua a scorrere in un movimento frenetico che non dà spazio a chi su questa giostra che ruota non riesce a starci.

Quel grido di disperazione è tutto contenuto nella profondità dell’anima di chi ha bisogno. Se solo ci fermassimo ad ascoltare, scopriremmo che forse lo è anche della nostra.
In copertina: Munch, L’Urlo (1893), Litografia credit