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MADE IN ITALY: IL VIAGGIO CONTINUA IN CASA MISSONI
Blu cielo, verde smeraldo, oro. Sono i colori che si palesano dietro le grandi vetrate di casa Missoni. All’interno, non mancano tante piante, quadri e oggetti d’arte di ogni genere che adornano le pareti simulando quello che potrebbe essere definito un tempio dell’arte. Lo è davvero!
Ci troviamo a Sumirago, in provincia di Varese, nell’head quarter Missoni. Siamo stati accolti dalla Signora Missoni, Rosita, insieme alla protagonista della serie tv “Made in Italy”, Irene, che stiamo seguendo nelle sue peripezie da giovane giornalista.
DUE CHIACCHIERE CON ROSITA E OTTAVIO
È una di quelle esperienze che tutti vorrebbero vivere, due chiacchiere a tu per tu con due grandi artisti: Rosita e Ottavio, amici, sposi e colleghi. La loro è una storia d’amore bellissima che ha dato il via anche ad un’avventura lavorativa che li ha portati a essere oggi conosciuti come i “maestri del colore”.
UN LEGAME INDISSOLUBILE LUNGO 60 ANNI
La loro storia è facilmente riconducibile allo stesso procedimento con cui vengono fatti i loro stessi filati: trama dopo trama, ordito dopo ordito, nasce un legame forte, indissolubile, che li vedrà insieme per sessant’anni, fino alla scomparsa di Ottavio nel 2013.
I due si incontrano a Londra, durante i Giochi Olimpici, dove Ottavio era finalista nei 400 a ostacoli, Rosita si trovava lì in vacanza studio. Rimasta affascinata dalla bellezza del giovane campione, Rosita non ha dubbi: i due convolano a nozze nel 1953 e non si lasciano più.
Tra i due coniugi c’è sempre stata complicità e intesa, ma non sempre si riusciva a definire chi dei due fosse veramente il creatore. Ottavio era solito definirsi come lui stesso il creatore, ma affermava anche che “era la Rosita a creare me”. Una cosa è certa, a nessuno dei due mancava la voglia di fare e mettersi in gioco.
DA TRIESTE ALLE VETRINE DELLA RINASCENTE
Ottavio, infatti, insieme ad un amico aveva un piccolo laboratorio a Trieste, dove producevano tute a maglia, mentre Rosita nutriva una forte passione per la moda, cresciuta nel tempo grazie all’azienda di famiglia che produceva scialli e tessuti ricamati. In poco tempo aprirono insieme una loro attività: prima semplici golfini da donna e poi veri e propri abiti long dress, che vedranno ben presto le luci delle vetrine della Rinascente.
1958: GLI ABITI MISSONI PER LA PRIMA VOLTA IN VETRINA
Il 1958 è l’anno della svolta. Un simpatico aneddoto segnerà la loro fortuna. Durante le vendite di primavera, un vetrinista mise i capi Missoni in dei manichini i cui volti vennero bendati con dei nastri colorati, in modo vivace. Un meccanico che passò di lì – così viene raccontato dalla famiglia Missoni – disse una frase in dialetto milanese, inconsapevole che avrebbe sancito il successo del futuro marchio: “per fortuna che sono bendate, perché se si vedessero…”
Quel signore, aveva preannunciato una rivoluzione in fatto di moda. Ma si stava parlando di un linguaggio semplice fatto di righe verticali colorate, ignaro che qualche anno dopo, se fosse stato presente al Palazzo Pitti di Firenze, sarebbe rimasto ancora più esterrefatto!
DA FIRENZE A MILANO: GLI ANNI DELLA RIBALTA
LO SCANDALO DI PALAZZO PITTI
1966, Sala Bianca. Pochi minuti prima della sfilata, Rosita si accorge che l’intimo usato dalle modelle non era affatto in sintonia con gli abiti della collezione, poiché questi, impalpabili ed eterei, potevano perdere la loro “aurea” con un intimo, (in piquet bianco) che poco si celava sotto le vesti. Così la stilista farà uscire una collezione dove gli abiti in maglia, sotto i riflettori, nulla toglievano all’immaginazione. La stampa definì questo evento “crazyhorse”, e solo qualche anno dopo Yves Saint Laurent coronerà il suo celebre “nude look”.
Fu un duro colpo per il duo artistico, ma allo stesso tempo l’occasione di spostarsi a Milano, palcoscenico dei nuovi talenti. Bernadine Morris, sul New York Times scrisse: “i Missoni sono già una buona ragione per andare a Milano”.
IL PUT TOGETHER: LA CODIFICA DI UNO STILE
In poco tempo portarono il nome della moda italiana oltre oceano e nel 1969 venne consacrato il loro stile “put together” dalla stampa americana, rimasta affascinata da questi tessuti ora a zig zag, ora a righe, ora scozzesi.
Ciò che divertiva di più i due coniugi era raccontare un altro grazioso aneddoto sul fatto che Ottavio, il grande maestro del colore, fosse daltonico e gli piaceva altresì affermare che sì, nella sua vita ne aveva combinate di mille colori.
“MACCHINE PER DIPINGERE”: L’IDEA CHE SI FA MATERIA
Se si era abbastanza fortunati di poter stare in compagnia di Ottavio durante le sue ore in fabbrica, come abbiamo visto nella puntata, si poteva rimanere affascinati da quelle bellissime “macchine per dipingere” a lui tanto care, che trasformavano in materia le sue mille idee. Dalla macchia di colore su carta, rigorosamente a quadretti piccoli, fino al filato, per poi diventare un abito o un arazzo.
Nel corso degli anni, molteplici sono stati i suoi espedienti per concretizzare la materia. Molte volte catturando l’attenzione dei critici più scettici che si chiedevano se quella lì appesa al muro fosse un’opera d’arte, solamente perché fatta di “fili colorati”.
GIOCOSITÀ, VIVACITÀ E LIBERTÀ
Questa giocosità e vivacità tipica di Missoni era ed è la stessa che oggi vediamo nei loro capi. La libertà cromatica con cui essi sono realizzati, fa sì che ci sia una “sconfitta di tutto ciò che ci può far paura”, così la definisce Angelo Flaccavento, fashion critic.
IL CUORE CHE BATTE DENTRO UNA CREAZIONE
Un filato, dunque, e mille possibilità. È chiaro che il mondo Missoni si leghi al mondo dell’arte, perché il linguaggio, attraverso una forma, arriva a molti. Non è solo un’etichetta, ma un cuore che pulsa dentro un abito, in cui si concretizzano i sogni di un uomo semplice che la mattina preferiva alzarsi più tardi, mentre sua moglie voleva catturare l’alba del Monte Rosa ed oggi continua a farlo senza, però, il suo amato Ottavio.
In copertina: Illustrazione di Elena Cammarata, “Missoni Family” di Oliviero Toscani (1992) , Credits