Di Gaia Liscia
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Il filo è un elemento lungo e sottile che deriva dalla filatura di fibre naturali, artificiali o sintetiche, di nylon, di cotone o di lana. Esso è un simbolo di continuità, precarietà e di incertezza.
Maria Lai, è stata un’artista sarda, nata ad Ulassai nel 1919, che attraverso la tematica del filo ha sottolineato l’importanza del legame tra la tradizione sarda e l’arte contemporanea. Per l’artista la vita era un insieme di relazioni da tessere, una trama di fili che unisce e crea armonia tra le persone. Il filo poteva sembrare un oggetto banale, ma in realtà insieme ad altri fili diventava qualcosa di robusto e duraturo nel tempo.
L’artista rappresentava grandi tele, bianche o colorate, in cui frammenti di fili si trasformavano in tracciati che apparivano come inchiostro su un foglio bianco.

LENZUOLO (2007)
Una delle sue tele più note è Lenzuolo, un grande lenzuolo steso che si divide in sezioni di altri piccolissimi pezzi di stoffa rettangolari. Ogni pezzo è diviso da diverse pieghe. Si tratta di cuciture nere filiformi, che fluttuano quasi in un mondo disabitato, ossia sullo sfondo bianco. I fili si muovono, si uniscono, si fermano e rincominciano il loro percorso. La tela bianca sta al mare come i fili stanno alle onde, si increspano e poi si placano e noi osservatori ne seguiamo il ritmo.
La trama del filo si fa irregolare, si susseguono tanti nodi. Si potrebbero quasi distinguere strane forme che si uniscono, si legano e creano relazioni: “non importa se non capisci, segui il ritmo”, diceva il professor Cambosu a Maria Lai, ormai già adolescente, quando le insegnò a leggere.
TELA CUCITA (1975)
Nelle sue tele non importa se non capiamo ciò che viene rappresentato, dobbiamo solo seguire il ritmo. Quel filo ininterrotto continuava ad essere presente in tutte le opere dell’artista, soprattutto nei telai. In quello stesso periodo nacquero anche le tele cucite, come ad esempio Tela cucita, che riassumeva la sua esperienza artistica.

La tela è divisa da tre fasce di tessuto: la prima in stoffa più ampia con un tessuto monocromo; la seconda più stretta di lana, decorata con la pavoncella, tipico motivo sardo, simbolo di fertilità. Se le pavoncelle frontali indicano il buon raccolto con il simbolo del grano, quelle poste di spalle, con due chiavi incrociate, indicano la sacralità della vita. La terza fascia, quella più in alto, viene rappresentata con un colore più scuro, in conferendo profondità all’opera.
Ogni fascia ha un significato diverso: la prima indica il mondo globale, la seconda il mondo locale e la terza il mondo universale. Queste vengono legate tra loro da un sistema di fili di lana che, come orditi da un filo di telaio sospeso, legano insieme mondi separati. I fili convergono al centro e rompono lo schema: l’opera è sia tela che telaio allo stesso tempo, i suoi fili sono oggetto e soggetto.
Nei telai l’artista rielaborava la lezione di Arturo Martini, un suo professore dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia. Da lui l’artista aveva appreso il rigore, la linea primitiva e moderna.
LEGARSI ALLA MONTAGNA (1981)
Maria Lai dà valore alla tradizione sarda facendo di essa arte contemporanea: cucire, tessere, impastare il pane sono solo una parte delle azioni con cui agisce. Il movimento creato dal telaio e il tessere sono il sunto della vita dell’artista. L’andare e il venire, il fuggire e il ritornare nella sua terra d’origine: la Sardegna. Sarà proprio qui che realizzerà parte delle sue opere più importanti, come Legarsi alla Montagna.

L’artista partì da una leggenda, molto conosciuta ad Ulassai, che si tramandava di generazione in generazione. Essa narra di una bambina che, salita sulla montagna per approvvigionare i pastori, venne all’improvviso colta da una tempesta. I pastori si rifugiarono in una grotta, mentre la piccola seguì un nastro azzurro che volava nel cielo, non preoccupandosi del temporale. La grotta crollò e i pastori non riuscirono a salvarsi. Questa leggenda ebbe un duplice significato: il nastro poteva sembrare un elemento banale, ma in realtà riuscì a salvare il paese da frane causate dalla montagna, ma anche da quelle interne tra i cittadini.
Il filo, trasformato in nastro azzurro e passato di mano in mano e di casa in casa per un giorno intero, legò fisicamente e simbolicamente la comunità di Ulassai e infine legato alla montagna che sovrastava il paese e lo minacciava dalle frane.
L’artista decise di coinvolgere l’intero paese, al fine di annullare quei conflitti interni per cui Ulassai si distingueva. Il nastro azzurro rappresentò per il paese la salvezza, ma anche la speranza dell’andare avanti e soprattutto lo snodare di tanti conflitti che si erano creati in precedenza. Mediante l’opera si riuscirono a creare relazioni tra i paesani, sottolineando anche l’unione tra l’artista e il suo paese.
In copertina: Maria Lai. Credit.