NULLA È PERDUTO – GAMEC, BERGAMO

Tempo di lettura: 5 minuti

Visitare la GAMeC (via San Tomaso 53, Bergamo) ha sempre il suo perché. Fino al 12 febbraio 2022 la galleria ospiterà la mostra NULLA È PERDUTO. Arte e materia in trasformazione, curata da Anna Daneri e Lorenzo Giusti.

È il secondo capitolo della Trilogia della Materia, un progetto espositivo pluriennale iniziato nel 2018 con la mostra Black Hole. Arte e matericità tra Informe e Invisibile. Se la prima indagava l’assenza della materia in dialogo con le teorie della fisica moderna, quest’ultima pone l’attenzione sulla chimica, sulle trasformazioni della materia, traendo ispirazione dalla vita degli elementi per una riflessione sulla realtà delle cose, sul movimento e sul tempo.

Dall’alchimia alla chimica, dai più grandi artisti dadaisti e surrealisti – Marcel Duchamp, Man Ray, Max Ernst ai più importanti esponenti delle neoavanguardie – Yves Klein, Otto Piene, Robert Smithson, Hans Haacke – per arrivare ad artisti recenti come Leandro Erlich, Lars Fredrikson, Edith Dekyndt, Renata Boero, William Anastasi, Ollafur Eliasson.

UN PERCORSO BASATO SULLA CONSAPEVOLEZZA DELLA MATERIA CHE TI CIRCONDA

Antoine-Laurent de Lavoisier nel suo Trattato di chimica del 1789 scrive: “(…) niente si crea, né nelle operazioni dell’arte, né in quelle della natura, e si può porre per principio, che in ogni operazione vi è una quantità eguale di materia avanti e dopo l’operazione; che la qualità e la quantità dei principi è la stessa, e che non vi sono se non che alcuni cambiamenti ed alcune modificazioni.” Nulla è perduto, appunto.

la mostra affronta una delle capacità più affascinanti della materia: la sua capacità rispetto ai nostri sensi, di cambiare apparenza pur restando, nel profondo, sempre la stessa

Alberto Barcella, Presedente GAMeC

Su questo incipit la mostra parte. Ad accoglierci un campo di conchiglie, posizionate dall’artista svedese Nina Canell nel cosiddetto Spazio Zero. Nonostante si indossi la mascherina anti-covid, si percepisce un odore salmastro intenso, accompagnato dal suono dei tuoi passi che schiacciano e frantumano quelle conchiglie. Il profumo del mare, a Bergamo, è quasi commovente. Straziante è la consapevolezza che tale profumo sia causato dalla tua azione e presenza nel mondo, e dal desiderio che tu hai di rendere la materia calcite. C’è la vita e c’è la morte; il passaggio e l’immobilità; c’è chi soffre e chi vuole ricercare il cambiamento. Quanto davvero vogliamo il nostro impatto nel mondo?

materia
Nina Canell, Muscle Memory, Veduta dell’installazione della mostra Nulla è perduto. Arte e materia in trasformazione , 2021, Credit: Sophia Radici, 17.10.2021

4 ELEMENTI = 4 STATI

La mostra si divide in quattro sezioni, che interpretano il nesso di vicinanza delle opere esposte con i quattro elementi naturali [Aria, Terra, Fuoco, Acqua], in associazione ai quattro stati di aggregazione della materia: gassoso, solido, plasmatico, liquido.

ARIA

Al piano superiore entri nell’Aria, e scopri lo stato gassoso della vita. Materico di certo, ma le cui particelle sono tanto distanti da rendere le cose capaci di movimento continuo e caotico. In una stanza pressoché buia – ma che forse avrei preferito maggiormente buia – ti sfiora il dipinto Manifesto di De Chirico Calco dell’antico con guanto di gomma, e vieni catturato da The Cloud (UK) di Leandro Erlich, un’opera di una delicatezza travolgente, situata in una tipica teca ottocentesca dalla didascalia in ottone. Cornice pesante, opera leggera. Molti strati per dire una sola cosa: esisto, catturo e sono catturato – ma alla fine è solo un inganno, tanti disegni su lastre sovrapposte.

materia
Calco dell’antico con guanto di gomma di Giorgio De Chirico 1959 e The Cloud (UK) di Leandro Erlich, 2016, Veduta dell’installazione della mostra Nulla è perduto. Arte e materia in trasformazione, Credit: Antonio Maniscalco. Courtesy GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo.

L’altra opera degna di nota è Condensation Cube di Hans Haacke. La forma asettica e minimalista del cubo, allusiva dello spazio espositivo, il cosiddetto White Cube, porta con sé il “punto di rugiada”: l’aria, se carica di vapore acqueo, scarica l’umidità sulla superficie su cui impatta, portandoci a essere presenti in essa: attraverso il nostro respiro, il nostro passare, modifichiamo i valori climatici interni alle stanze, accresciamo il processo di usura dell’opera (di ogni opera). La condensa non crea solo gocce ma evidenzia anche i segni di un classico panno usato per pulire l’oggetto.

materia
Hans Haacke, Lange Condensation Cube, detail, 1963-1967, Credit: Sophia Radici, 17.10.2021

Qui, ho iniziato a percepire chi stessero provocando gli artisti e i curatori: coloro che conoscono le regole del gioco – i restauratori, i conservatori e i chimici. Un po’ come facevano i surrealisti e i dadaisti, un po’ come fanno gli artisti odierni: sovvertono, mettono in discussione, disorientano. A differenza di allora, oggi si fa in maniera velata, meno divertente, direi.

TERRA

Attraverso un corridoio si accede alla Terra, elemento solido, che propone la vita fertile e stabile, le cui particelle si attraggono e poco si agitano.

Ora, potrei soffermarmi sull’opera fotografica di Man Ray, élevage de poussière, che contiene la Grande Madre di Marcel Duchamp, o su La Forêt di Max Ernst, parlando di come la sua tecnica di frottage e grattage abbia influenzato la nostra vita, ma mi dedicherò alla sala successiva: d’altronde sento l’esigenza di parlare delle opere che fanno sfregio delle regole imposte alla mia professione di conservatrice.

materia
Man Ray, élevage de poussière, (Dast Breeding), 1920 – 1970 ca. stampa alla gelatina d’argento su carta 24 x 30 cm, collezione privata. Courtesy Fondazione Marconi, Milano. © Man Ray, by SIAE 2021.
Max Ernst, Le Foret, 1927 – 1928; Joana Escoval, Living Metals II, 2019. Veduta dell’installazione della mostra Nulla è perduto. Arte e materia in trasformazione, Credit: Antonio Maniscalco. Courtesy GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo.

Ottima è la scelta compositiva: l’installazione centrale, Nature Equals Meaning Minus Choice di Karla Black, accompagna e accomuna visivamente tutto ciò che la circonda, anche se, a pensarci bene, si tratta semplicemente di una fragile montagna di segatura.

Sulle pareti vi sono opere di piccole e grandi dimensioni. La più dominante è Cromogramma, di Renata Boero, artista e restauratrice. Suddivide la tela nelle classiche griglie di osservazione e classificazione dei fenomeni chimici e fisici, e la manipola in modo tale che siano evidenti le alterazioni cromatiche e di supporto. Ogni scelta fatta, dall’uso delle vernici alla sua movimentazione, era consapevolmente portatrice di degrado in essa.

Il discorso è lo stesso se si pensa alla serie Berlin Spring Pieces di Edith Dekyndt: ci dimostra come determinati liquidi (vino, caseina o sangue), a contatto con tele di lino o velluto, facciano reazione. Processi come assorbimento, fusione, perdita del pigmento, decomposizione – sempre problematici se visti dagli occhi di un restauratore – vengono ora percepiti con fascinazione, assaporandone l’aspetto estetico e poetico del contatto di materiali tra loro avversi, in conflitto.

Da destra: Edith Dekyndt, Ne touche à rien – rèplique, 1997 – 2015; Renata Boero, Cromogramma, 1971; Karla Black, Nature Equals Meaning Minus Choice, 2011; Edith Dekyndt, Berlin Spring Pieces, 2015. Veduta dell’installazione della mostra Nulla è perduto. Arte e materia in trasformazione, Credit: Antonio Maniscalco. Courtesy GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo.

FUOCO

Al piano superiore si accede alla sezione del Fuoco. Si dice abbia il potere di creare e distruggere, ma la sua capacità sta nel plasmare la materia, favorendone il passaggio di stato.

Potremmo definire tale elemento alchemico l’essenza dell’atto creativo, o almeno così tenta di definirlo Yves Klein con l’opera Peinture de Feu sans titre: una fiamma bloccata su tela.

Yves Klein, Peinture de Feu sans titre, 1962, cartone bruciato, 130 x 97 cm, © Succession Yves Klein c/o ADAGP, Paris. Credit: Fondazione Yves Klein.

L’uomo però non ha utilizzato il fuoco sono come strumento di rigenerazione, ma anche come strumento per esercitare il proprio dominio. Non era stato Prometeo a portare il fuoco divino sulla terra e per questo punito in perpetuo? Da questa sezione il focus cambia, non si sfidano più le leggi chimiche e conservative delle opere, ma si affronta il discorso della forza distruttrice umana a discapito della natura.

Sono, infatti, un video e una fotografia a fermare lo sguardo. Uno nel corridoio, l’altra protetta in una sala. Gordon Matta-Clark con Fire-Child ci mostra come le macerie siano metafora profonda dell’avidità umana (speculazione edilizia) e al tempo stesso elementi di rinascita. Al centro del filmato il fuoco, che abbatte, che mescola, che scalda, che consuma. Nella Sala invece la fotografia Glue Pour, di Robert Smithson: 226 kg di materiale industriale rovente versato dall’alto di un pendio a Vancouver. Più che pensiero ecologico, direi che dietro Smithson c’era tanta voglia di pisciare un po’ ovunque.  

Gordon Matta-Clark, Fire-Child, 1971, frame. Credit: MoMa
Robert Smithson, Glue Pour, 1969, Stampa a getto d’inchiostro su carta d’archivio, 33 x 33 cm, Holt / Smithson Foundation, © Robert Smithson, by SIAE 2021, James Cohan image collection.

ACQUA

Arriviamo all’Acqua: molecole in movimento, che si contengono e si mescolano. Si crea un ciclo. È una sezione che non porta a una fine, ma a un subbuglio.

A riprendere il discorso di prima c’è Roman Signer con Der Ietzte Schnee: un piccolo frigorifero che contiene un ricordo dell’artista, la neve caduta durante un pomeriggio d’inverno. Mi sono chiesta quanta neve avrei voluto conservare anch’io all’interno di un congelatore, quanti sorrisi poteva portare con sé la neve. Tutto ciò prima di togliermi di dosso il pensiero incantato e capire quanto occidentale fosse il pensiero di conservare pure questo, a sfavore della vita, dell’ecosistema. Cosa stiamo cercando di conservare e che cosa stiamo veramente perdendo?

Roman Signer, Der letzte Schnee, 2004 – 2021, congelatore, neve, 82 x 56 x 46 cm, © Roman Signer, Courtesy l’artista.

A rispondere a questa domanda c’è Olafur Eliasson, con Glacial landscapes no.11, opera nata attraverso l’utilizzo di alcuni frammenti di calotta glaciale per realizzare degli acquerelli, denunciando così il problema del riscaldamento globale attraverso un linguaggio tradizionale. Riprendendo l’atto del 2014: al centro della piazza di Copenaghen pose 12 grandi blocchi di ghiaccio presi dalla calotta glaciale della Groenlandia., come a dire “guarda ciò che sta accadendo”.

Lascio il percorso con in testa il video Spaghetti Blockchain di Mika Rottenberg. Cosa stiamo vedendo?

Mika Rottenberg, Spaghetti Blockchain, 2019. Veduta dell’installazione della mostra Nulla è perduto. Arte e materia in trasformazione, Credit: Antonio Maniscalco. Courtesy GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo.

Possiamo noi scindere questa mostra dal contesto contemporaneo? Trovo impossibile non considerare il contesto e il luogo nel quale mi trovo, da bergamasca: “NULLA È PERDUTO”, tutto rinasce: come questa città, dopo quanto successo nel 2020. Se la materia si trasforma, quest’esposizione ci consente di capire come ogni avvenimento corrisponda a un mutare. Persino una tragedia può portare a qualcosa di nuovo, memore del passato, proiettato al futuro.

Penso. Devo tornare per l’ultimo atto della trilogia.

In copertina: The Cloud (UK) di Leandro Erlich, 2016, Veduta dell’installazione della mostra Nulla è perduto. Arte e materia in trasformazione. Credit: Antonio Maniscalco. Courtesy GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo.

Rispondi