Di Valeria Mileti Nardo
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La storia dell’arte è la storia degli artisti: si studiano le personalità, la loro formazione, le influenze e il percorso.
Il ruolo delle donne nell’arte è stato solo quello di muse ispiratrici o modelle come rappresenta Gustave Courbet nella celebre tela L’atelier del pittore? A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, grazie ai gender studies, è chiaro che questa lettura è stata finalmente superata e che la storia dell’arte ha avuto anche protagoniste femminili di grande rilievo.
Grazie a questa rubrica, che uscirà ogni lunedì, intraprenderemo un viaggio attraverso le vite di sette artiste attive dall’età Vittoriana fino al secondo dopoguerra: partiremo dalla fotografa Julia Margaret Cameron, parleremo poi di Berthe Morisot, una delle più influenti donne impressioniste. Affronteremo sia la scultura con Camille Claudel, che la grafica con le sorelle MacDonald e Käthe Kollwitz, per poi ritornare alla pittura con Charlotte Salomon e Lee Krasner.
Non è stato affatto semplice selezionare queste donne nel vasto panorama di artiste che ha attraversato i secoli. La prima artista documentata è stata la miniatrice Ende attiva nel X secolo nel monastero di San Salvador di Tábara in Spagna. Molte altre poi sono state le artiste tra il Quattrocento e l’Ottocento, soprattutto pittrici come Sofonisba Anguissola, Marietta Robusti (primogenita del Tintoretto), Judith Leyster, Elisabeth Vigée le Brun, Rosalba Carriera, solo per citarne alcune.
Fino al Seicento, tranne rare eccezioni, le donne non hanno avuto accesso agli studi artistici come i colleghi uomini. Bisognerà attendere il Novecento con il Bauhaus, la leggendaria scuola tedesca di arte e design fondata nel 1919, perché le donne avessero gli stessi diritti di studio, formazione ed espressione.
L’artista che più di tutte ha aperto la strada agli studi sulle donne nell’arte è stata senza dubbio Artemisia Gentileschi (1593-1654) la cui storia personale di violenza subita dal pittore Agostino Tassi ha spesso superato la riflessione sulle sue doti come pittrice. Più di recente, invece, non si fa che parlare di Frida Kahlo (1907-1954) una delle più note e apprezzate artiste del Novecento che ha influenzato la moda e la cultura pop a noi contemporanea con il suo stile eccentrico e colorato.
L’arte come prerogativa esclusivamente maschile è stata presa come un simbolo e un modello da contrastare e abbattere nelle lotte femministe di inizio Novecento. Il caso forse più tristemente famoso è quello della suffragetta Mary Richardson che il 10 marzo 1914, dopo aver attraversato i lunghi corridoi della National Gallery di Londra, arrivò davanti alla celebre Venere allo Specchio di Diego Velázquez e iniziò a sfregiare la tela a colpi di mannaia. Mary “la squartatrice”, come la ribattezzarono i giornali inglesi, prese di mira un simbolo, uno dei nudi più sensuali della storia dell’arte, emblema anche della relegazione delle donne al ruolo di modelle per gli artisti uomini.
Nonostante la sua carica simbolica, questo gesto di estrema violenza iconoclastica condannato con forza, fu anche un grido di ribellione e disperazione che venne colto settant’anni dopo, per fortuna senza brutalità ma con ironia, delle Guerrilla Girls, gruppo anonimo di artiste femministe formatosi a New York nel 1985. Una delle loro azioni più celebri fu quella del 1989 con il loro più celebre poster “ai danni” del MET di New York: l’Odalisca di Ingres con il volto da gorilla, firma delle Guerrilla Girls, accompagna un messaggio di protesta sulle donne nell’arte: “Le donne devono essere nude per entrare al MET? Meno del 5% degli artisti nelle sezioni di Arte Moderna sono donne ma l’85% dei nudi sono femminili”.
Dal 1989 le cose non sono molto cambiate nelle sale dei musei, come hanno denunciato le Guerrilla Girls, ma si parla sempre più spesso delle donne nell’arte: figure indipendenti, forti e determinate che hanno lottato con risolutezza per ritagliarsi il loro spazio nella storia dell’arte. L’unico modo per rendere loro omaggio è parlare di queste donne straordinarie come vogliamo fare anche noi, nel nostro piccolo, affinché non vengano dimenticate.
In copertina: Quattro donne del laboratorio di tessitura del Bauhaus, 1930-1931, Berlino, Archivio del Bauhaus.