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fondazione palazzo magnanI E TRUE FICTION
La Fondazione Palazzo Magnani lo dice forte e chiaro: se mostre e musei sono chiusi loro sono pronti a salvarci.
La mostra True Fictions. Fotografia visionaria dagli anni ‘70 ad oggi, che avrebbe dovuto essere aperta a Palazzo Magnani (corso Garibaldi 29, Reggio Emilia) dal 17 ottobre 2020 al 10 gennaio 2021, ha risentito del nuovo lockdown. La sua apertura rimane in sospeso.
La Fondazione ha saputo rispondere al bisogno di cultura in tempi di pandemia attraverso una semplice, e molto bella, trovata.
Gli ingredienti base di questo patto sono pochi: un’immagine, un telefono, una voce narrante e tanta immaginazione.
Dall’11 di novembre sino al 23 di dicembre, ogni mercoledì, dalle 17 alle 19, è possibile ascoltare la storia di una delle opere esposte in mostra.
ISTRUZIONI
Come fare? Ecco a voi la soluzione:
- Scegli un’opera da qui
- Chiama 0522 444446
- Risponderà un membro dello staff della Fondazione Palazzo Magnani, pronto a narrarti l’opera prescelta
LA MOSTRA A PALAZZO MAGNANI
Si tratta della prima retrospettiva italiana, a cura di Walter Guadagnini, sulla staged photography – fotografie messe in scena – una tendenza nata tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta. Questo fenomeno ha rivoluzionato il linguaggio fotografico e la collocazione della fotografia nell’ambito delle arti contemporanee, cambiando di fatto il suo ruolo.
Gli scatti non parlano della realtà, non catturano attimi di vita fuggenti e non documentano: sono vere e proprie realtà parallele. Le staged photography creano “un’altra storia” che può racchiudere una verità poiché la fotografia unisce e si lega alla performance, alla scultura, può anche prendere la forma di un teatrale reenactement.
Data simbolo è il 1977, quando Cindy Sherman comincia a realizzare Untitled Film Stills (1977–80), serie caposaldo del fenomeno che ha reso l’artista riconoscibile in tutto il mondo.


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LA MIA ESPERIENZA
Finalmente è mercoledì, sono un po’ nervosa, mi agito sempre quando devo affrontare esperienze nuove. Ero molto indecisa sull’immagine che avrei voluto esplorare, specialmente tra quella di Nic Nicosia e quella di Teun Hock.
Alla fine ha avuto la meglio la fotografia di Nic Nicosa, forse perché Violence mi ricordava il videoclip Redundant del 1998 dei Green Day.

Credit: Fondazione Palazzo Magnani

Chiamo. Risponde una voce femminile, si chiama Matilde, inizia subito una certa confidenza. Le dico l’opera che ho scelto e mi chiede il motivo per cui mi sia piaciuta fra tutte, glielo spiego, ride. Mi spiega che c’è un effettivo collegamento: l’artista riprende molto la cultura Pop, nel senso di popolare, includendo le soap opera e la cultura di massa, un po’ quello che stava facendo anche la scena punk e la band californiana in quel periodo.
UN’OPERA AL TELEFONO
Parliamo dell’artista, americano, anche se il nome rimanda ad una parentela italiana. Fu tra i primi a occuparsi di staged photography, poiché ogni cosa è calcolata, è messa in scena. Davanti a noi troviamo delle persone comuni, travestite da attori, che ritraggono e interpretano la middle class americana degli anni ’80, una borghesia nata tramite il boom economico, composta da tante tipologie differenti di persone e altrettanta ipocrisia.
Il finto perbenismo ci viene raccontato chiaramente dallo scatto, nei vari livelli di lettura. Davanti a noi, sulla sinistra, troviamo una donna che ci sorride, emblema del menefreghismo di quella società, e un uomo, un po’ indispettito dalla scena retrostante, tutte le persone nella stanza indirizzano il loro sguardo al centro, dove c’è l’effettivo atto di “violenza”, ma è disinteressato. I personaggi guardano il tutto con aria mista tra lo schifato e l’incredulo.
Vista ora, l’opera, sembra essere davvero un frame di una soap opera.
Mi spiega come Nicosia lavora, pensa e costruisce un set come un regista, mettendo i personaggi in posa a tal punto da far sembrare tutto fittizio, effetto aumentato dall’ambiente, come se guardassimo un fotomontaggio. Mi rimanda così ad un’altra sua opera in mostra Domestic Drama n°4: da un ambiente tridimensionale la fotografia ne crea uno bidimensionale, basta guardare il tappeto, che diventa un rettangolo.

Color Photograph, 106.6 x 142.2 cm. Credit artnet
PERCHÉ VEDERE L’ESPOSIZIONE IN SITU
Matilde mi spiega come i fotografi traggano ispirazione dal mondo della pittura, creando così immagini materiche e aventi dimensioni insolite rispetto al periodo: le opere di Chan Hyo Bae sembrano dipinti ottocenteschi; Teun Hocks ridipinge a olio le fotografie dopo averle scattate in seppia; Erwin Olaf è un registra teatrale per la scelta delle pose, la compostezza formale o l’uso attento dei colori.

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Courtesy Collezione Soprani, Arese (MI)
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Ci congediamo. Sono un po’ nostalgica, so che non riuscirò con molta probabilità a visitare l’esposizione, non mi divertirò a trovare tutti quegli elementi di falsificazione all’interno delle fotografie o cercando di capire le varie tecniche usate.
Posso solo augurarmi che voi lettori, magari più vicini, possiate farlo per me.
In copertina: Sandy Skoglund Fox Games, 1989 archival photograph, cm 117 x 150, credit Paci Contemporary Gallery (Brescia – Porto Cervo, IT)