“Qui dove sono” recita il titolo dell’esposizione di Giulio Paolini, che ha da sempre preferito lasciare alle opere l’espressione della propria partecipazione. “Qui dove sono”, infatti, non soltanto ribadisce la presenza dell’artista all’interno di una collaborazione, quella con la Galleria Christian Stein, che dura da oltre cinquant’anni, quando ancora la gallerista esponeva non lontano dal suo studio a Torino. L’espressione vuole anche ricordare per quanta parte le opere di Paolini racchiudano il suo creatore, il suo vissuto e la sua conoscenza.
I cinque lavori esposti, di cui tre realizzati per l’occasione, infatti, recano tracce della loro produzione; come la piccola venatura nel ginocchio del Mosè michelangiolesco richiama gli strumenti del suo farsi, così le foto, i collage e le sculture non nascondo la loro finzionalità, ma al contrario la esaltano.
Il miracolo della creazione artistica è esplicitato nell’evidenza dell’esposizione, creando un corto circuito fra ciò che normalmente appartiene solo all’artista e ciò che è offerto alla vista del pubblico. Ideazione, creazione e manifestazione si fondono in quello che risulta essere un percorso al di fuori delle note e care coordinate spazio temporali. Entrambe le dimensioni, infatti, collassano in quello che non è già più un puro spazio espositivo contemporaneo.
lo spazio e il tempo di Giulio Paolini
Volendo compiere il viaggio nell’universo dell’artista partendo dalla prima opera che si incontra sulla parete d’ingresso, siamo già di fronte ad una situazione ibrida. Quarantatré collage incorniciati organizzano lo spazio in due quadrati concentrici che mostrano fotografie di un edificio in fiamme. Ciò che sorprende, però, al di là dell’impatto visivo della composizione, è lo strano abbinamento di questa immagine con altri elementi totalmente estranei ad essa. Il quadrato interno, infatti, presenta anche stralci di opere già realizzate da Paolini, mentre nelle cornici perimetrali ad essere aggiunti sono gli strumenti e i materiali tipicamente utilizzati dall’artista per la sua produzione. Passato presente e futuro sono presenti, contemporaneamente, negli occhi dello spettatore che trova dentro ad un’opera non solo l’immagine delle opere già realizzate, ma anche la presentazione in “potenza” di quelle future.

Segue Vis-à-vis (Kore), 2020, installazione realizzata appositamente per l’occasione, che propone due calchi di kòrai antiche, collocati rispettivamente su due basi. I due visi si guardano, interrogandosi, di fronte ad una tela bianca con un tracciato prospettico che cattura il nostro sguardo. L’immagine complessiva è enigmatica, misteriosa, che racchiude come una conchiglia l’eco della tensione di domande senza risposta.

IL VOLO
Sulla parete attigua si trovano alcuni tipici collage che sono spesso per Paolini occasione di studio e sperimentazione per lavori installativi. Le opere, della serie Qui dove sono, 2019, giocano sullo spazio: ciascuno infatti è composto da una splendida vista della torinese Piazza Vittorio Veneto, al cui centro un tracciato prospettico colloca di volta in volta una diversa immagine en abyme. La situazione si complica, poi, quando ad essere posizionati al centro della piazza sono altri luoghi, come l’atrio dell’abitazione di Paolini, o, addirittura, delle figure di spalle – allegorie dell’artista al lavoro sull’opera o di chi la fruisce come puro spettatore.

LA PRESENZA
La presenza di Giulio Paolini è ulteriormente ribadita nell’opera successiva Passatempo, 1992-98, in cui frammenti di una fotografia dell’artista sono collocati, in alternanza a motivi astrali, sopra ad una base. In corrispondenza degli occhi del ritratto è, poi, posizionata una clessidra coricata. Ciò che segna il tempo, che ne segue ansiosamente – granello dopo granello – il suo scorrere, è ormai privo di ogni utilità. Come un puro oggetto estetico, simbolo inverso di una misurazione accurata, la clessidra avverte la perdita di ogni qualsivoglia coerenza spazio temporale. L’artista ha gli occhi coperti dalla clessidra: come un nuovo Tiresia a cui è negata la visione nel presente, può leggere nel futuro soltanto attraverso la vista interiore.

il volo

Il percorso conduce all’ultima, imponente, installazione al centro della Galleria. Sopra un’alta base, un calco in gesso di una statua di Benvenuto Cellini raffigurante Ganimede, il fanciullo amato da Zeus, rivolge il suo ultimo sguardo a terra. Egli, infatti, è già proiettato verso il cielo, pronto per il volo sostenuto da un paio di splendide ali dorate. Sua controparte è Icaro – tratto da un quadro di Charles Paul Landon – posizionato su di un vetro posto sul pavimento alle sue spalle. Il fanciullo, noto per essere precipitato in mare a seguito di un volo non altrettanto fortunato, sembra voler sfondare la superficie su cui siamo posizionati. La figura è infatti rappresentata nell’atto di raggiungere un frammento di cielo, che suggerisce un’illusione di profondità amplificata dall’utilizzo del vetro.

Il viaggio nella mostra termina dunque con un volo, quello uguale e contrapposto delle due figure mitiche, che non arriveranno mai a destinazione nel tempo dilatato dell’opera d’arte. A metà strada tra i due personaggi, che infinitamente si allontanano, si trova la terra, lo spazio che abitiamo, qui rappresentata da un mappamondo ai piedi della base. Il percorso ci riporta dunque al punto di partenza: Paolini ci allontana dal reale, ma non perde l’occasione per mostrarci il luogo di appartenenza: il nostro “qui dove siamo”.
L’arte, infatti, concede la possibilità di lasciare lo spazio tangibile e terreno, fatto di rapporti di causa effetto, e di poter vivere un sincopato momento di totalità e infinitezza. Ma è una temporanea condizione di grazia: come un uroboro che chiude il proprio ciclo, diversamente da Icaro e Ganimede di Paolini, noi viviamo la finitezza e siamo destinati a terminare il nostro volo.


In copertina: Giulio Paolini. Qui dove sono. Galleria Christian Stein, Milano. Ph. Paul Thüroff