Tempo di lettura: 4 minuti
È sempre primavera nelle opere di Ruben Staiano! Così, tra fiori che sbocciano e rondini che tornano, l’artista ci racconta lo sviluppo di una pittura fluttuante che viene accolta dalla rigidità del legno per trovare finalmente la dimensione permanente. La pittura è divenuta disciplina, e come ogni disciplina che si rispetti, si mostra ereditiera di un sapere – la tradizione nipponica – e, al tempo stesso, eretica verso questa. È un pennello che, districandosi da flutti e scosse, cerca ardentemente la sua identità, la sua definizione.
Ciao Ruben! Grazie per averci dato la possibilità di conoscere la tua pittura e saperne un po’ di più di te e della tua curiosa propensione orientale. Ti va di raccontarci un po’ di te e di come ti sei avvicinato al mondo dell’arte?
Certo! Mi avvicino al mondo dell’Arte in tenera età, inspirandomi all’attività artistica di mio zio materno. Allo stesso tempo, grazie all’amore sviscerato che mia madre nutriva per i fiori, ho passato la mia infanzia in costante contatto con questo mondo: è stata un’esperienza che, oggi posso dire, ha segnato tutta la mia visione artistica. I miei soggetti preferiti sono appunto creature floreali che animano un mondo onirico in bilico tra il reale e l’immaginario. È solo da circa due anni che sono riuscito a trovare dei volti ai fiori e l’Ukiyo-e, in questo senso, mi ha aiutato moltissimo. È una corrente artistica affermatasi in Giappone tra il XVII e il XX secolo e significa letteralmente “immagini del mondo fluttuante”, quindi, l’espressione grafica in riferimento allo stile di vita spensierato e sensuale. Asai Ryōi dice: «Vivere momento per momento, volgersi interamente alla luna, alla neve, ai fiori di ciliegio, non farsi scoraggiare: questo, io chiamo Ukiyo». È un tipo di cultura a cui tengo particolarmente, in quanto vi sono molte similitudini con il mio modo di concepire le opere e la vita.

Parlando di questo mondo fluttuante, la tua è un’iconografia ricca e spesso presa in prestito dalla cultura nipponica (vedi le geishe, i lottatori di sumo o le gru giapponesi); nella tua volontà di raffigurarla possiamo ritrovare la stessa carica semantica orientale?
Assolutamente. È chiaro però che i vari elementi subiscono un processo di occidentalizzazione a cominciare dai colori e dalle forme. In Ti do Dignità ad esempio, i gonnellini (kesho-mawashi) dei lottatori di sumo, non rispecchiano fedelmente la palette che suggerisce la cultura nipponica. Questo perché i soggetti scelti subiscono un ulteriore processo, che è quello dell’interiorizzazione. Ecco che il colore viene messo al servizio di un più profondo aspetto concettuale: con questo assetto, infatti, i Sumo rappresentano i pensieri di morte e di condanna, che minacciosi come grosse montagne, mirano alla nostra Dignità. Questo spiega perché ho scelto un blu di Prussia piuttosto che un giallo limone, per vestire i lottatori. Così come ho preferito un rosso autoritario a un verde permissivo per vestire la protagonista di Ti do Dignità. Il colore, pertanto, veicola l’autorità e il carattere onnipresente della figura, essa è riconoscibile sebbene solo chi ha consapevolezza della propria identità può avvertirla.

Quanto ai materiali, spesso utilizzi acrilici su supporti rigidi come il legno. Insegui la volontà di ricreare particolari effetti plastici?
La mia pittura è fatta anche di generose spatolate, che donano all’immagine volume e spessore, creando così nello spettatore una sensazione quasi tattile del quadro. Un esempio perfetto può essere Prato Fiorito II che, come una colorata esplosione di creature floreali, investe concentricamente lo spettatore. Il Fiore è la chiave di tutto: esso rappresenta quella delicatezza e quella gentilezza delle quali il veloce e brutale mondo moderno necessita per ritrovare l’antica armonia perduta.

Trovo affascinante la definizione di “quadri curativi”, oltre che pienamente conforme allo spirito Zen secondo il quale l’arte ha la funzione di mettere in sintonia le persone con la parte più profonda del loro essere. Trovi che i tuoi quadri abbiamo la capacità di farlo? In che modo?
Prendo in prestito le tue parole, confermandone il concetto: l’arte ha la funzione di mettere in sintonia le persone con la parte più profonda del loro essere. È attraverso l’arte che ho scoperto (e sto scoprendo) la mia identità, ed è attraverso la stessa che aiuto le persone a fare altrettanto. In che modo? Aiutando me stesso. Suona strano, ma è solo quando mi aiuto che sto aiutando l’altro. Forte di questo pensiero, non posso creare opere come ad esempio Il suo nome è Gentilezza se prima non ritrovo quella gentilezza con me stesso. Avrei comunque potuto dipingerla, ma sicuramente non avrebbe avuto la stessa forza espressiva. Mettere a disposizione il proprio dono costruito, e per “costruito” intendo basato sui principi che non rischiano di cadere, è necessario per trasmettere e toccare le parti più nascoste del nostro essere.

Ti prendi molta cura della dimensione social del tuo lavoro e ne curi i minimi dettagli. Sul tuo account IG, ad esempio, si crea uno straordinario dialogo tra la pittura e la scrittura. Pensi che la parola possa dare un valore aggiunto alla tua pittura?
È un aspetto da non sottovalutare. Sono del parere che le opere siano delle porte, ma chiuse a chiave. Credo nell’interpretazione soggettiva, ma non voglio che questa diventi una scusa per una mancata comprensione dell’opera. In generale, è importante conoscere la circostanza nella quale l’artista ha dipinto, e questo può avvenire attraverso la spiegazione. Quindi sì, nel mio caso la parola è un valore aggiunto ed è per questo motivo che da un po’ di tempo a questa parte sto presentando le opere con una didascalia.

L’uso di strumenti di diffusione alternativa ai musei o alle gallerie permette di potersi esprimere perfettamente all’interno di uno spazio virtuale, sulla base di questo cambiamento di tendenza, quanto è difficile oggi fare il pittore?
Con la presenza di piattaforme di vendita online e canali di promozione ci sono molte opportunità, ma, paradossalmente, oggi è più difficile farsi notare a causa delle continue e nuove proposte. Se da una parte il mercato è sempre più saturo però, dall’altra diventa fondamentale basare la propria ricerca e crescita artistica sulla definizione della propria identità. Il ruolo del pittore oggi è cambiato, non basta più dipingere, bisogna creare una rete di contatti, studiare il target, circoscrivere la domanda, partecipare attivamente ai talk e ai convegni, insomma un pò come fissare una vision aziendale è necessaria la proiezione di uno scenario futuro definendo ideali e aspirazioni. Dipingere è uno degli ultimi step, tutto quello che sta attorno non lo definirei semplice.
