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Negli anni ’60 gli economisti americani William G. Bowen e William Jack Baumol teorizzarono il cosiddetto Morbo di Baumol, il malanno che colpisce quei Paesi la cui crescita si regge principalmente su settori che hanno una bassa produttività, il settore stagnante, caratterizzato dalla scarsa capacità di incorporare il progresso tecnologico nella propria funzione di produzione.
Dunque, le istituzioni che producono beni e servizi culturali appartengono al settore stagnante.
Il Morbo di Baumol ha ormai più di cinquant’anni, da allora sono cambiate molte cose nell’ambito culturale: per alcune realtà lo stagno di Baumol si è trasformato in una pozzanghera, per altre un laghetto: in Italia è diventato la Palude della Tristezza de La storia infinita in cui Atreiu, invece di trovare un modo per salvare il cavallo Artax, lo spinge verso il fondo.
In generale, quando si accosta il termine marketing al settore culturale tutti inorridiscono; come se lo si volesse snaturare. Diventa ancor più raccapricciante quando si parla di social media marketing.
IL CASO “Chiara FERRAGNI NEI MUSEI”
Settimane fa hanno (inspiegabilmente) indignato le foto di Chiara Ferragni agli Uffizi, e ancora prima quelle scattate nelle sale dei Musei Vaticani. Eppure, la Ferragni ha semplicemente fatto promozione – e nemmeno volontariamente. A metà luglio, con pochi scatti, ci ha ricordato che il Salento non è solo Gallipoli, discoteche all’aperto e mare: quanti di noi conoscevano gli affreschi della basilica di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina?
Qualcuno dirà «Ma davvero ci voleva la Ferragni per ricordarci che l’Italia è uno scrigno così ricco di tesori?». Evidentemente si.
Non vogliamo ancora ricorrere all’influencer marketing per promuovere i luoghi della cultura della Penisola; ma forse, se una imprenditrice digitale è riuscita a fare tanto con poco, è chiaramente arrivato il momento che la cultura cominci a rivalutare il social media marketing per fare valorizzazione. Non si tratta solo di aprire una pagina Facebook, un profilo Instagram, uno su Twitter, inserire le informazioni di contatto, postare qualche foto o lasciare che lo faccia la community quando si geolocalizza; e nemmeno utilizzare i social come una bacheca degli avvisi.
SOCIAL MEDIA MARKETING PER BIBLIOTECHE E ARCHIVI
Per molti, l’approccio al social media marketing può sembrare più semplice per i musei che per le biblioteche e gli archivi. Con due (si, solo due) semplici esempi posso dimostrarvi che non è così. Avete mai fatto un giro sui profili social della British Library e della Library of Congress?
Non si tratta di semplici bacheche degli avvisi all’utenza: è un mondo accessorio ma indissolubilmente legato alla mission dell’istituzione. Il calendario editoriale della British Library è una calamita per l’utenza: non sono previsti solo reminder per le iniziative, ma anche rubriche di instant marketing con contenuti in linea con la strategia in occasione di particolari ricorrenze (giornate nazionali, feste religiose, particolari eventi storici ecc), tutte accompagnate da un hashtag aziendale.
Penserete che tre post alla settimana con dei copy accattivanti non possano fare molto per le sorti di una biblioteca; invece, creando engagement sui social si può convertire i numeri in utenza. Non solo: persino la campagna per la riapertura dei locali a settembre fatta attraverso le Instagram Stories si è rivelata una scelta accattivante.
MAHMOOD AL MUSEO EGIZIO DI TORINO
Torniamo al fenomeno italiano. Sempre a luglio, la Galleria dei Re del Museo Egizio di Torino è stata scelta come location per le riprese del videoclip Dorado di Mahmood; inizialmente la vicenda è passata in sordina, come se si trattasse di ordinaria amministrazione. Ci sono voluti diversi giorni per cominciare a parlarne, per scatenare l’indignazione di chi trovava sacrilego l’accostamento museo – brano rap (soprattutto relativamente alla seconda strofa) e chi paragonava la vicenda alle lezioni di yoga e zumba tenute tempo fa nello stesso luogo.

Tralasciando l’affinità (forzata o meno) fra la Galleria e il brano, oserei dire che ci sono tutta una serie di non proprio sottili ed evidenti differenze fra una lezione di fitness e l’allestimento di un set all’interno di un luogo della cultura; tra queste, anche la minore probabilità che la collezione venga danneggiata durante le riprese (che devono essere organizzate e condotte tenendo conto della normativa, il D. Lgs. 81/2008).
Chissà se in passato anche Godard, Bertolucci, Argento e tanti altri registi sono stati criticati per aver girato alcune delle scende più indimenticabili della storia del cinema proprio nelle sale di un museo.

dIOR, FERRAGNI E IL “MARTA” DI TARANTO
Durante i preparativi della sfilata di Dior a Lecce, Maria Grazia Chiuri e Chiara Ferragni (sempre lei) hanno visitato il MarTa – significativo per la collezione Cruise della direttrice artistica che si è ispirata proprio agli Ori di Taranto.
Pochi minuti dopo l’upload degli scatti e la pubblicazione delle Instagram Stories, il sito e i profili social del Museo Archeologico di Taranto hanno registrato un boom di visite sul web che, nel giro di qualche giorno, sono diventate visite reali.
L’arte e la cultura possono aiutare l’economia ad essere meno arida […]; l’economia, con il suo concetto di valore, può aiutare il mondo dell’arte e della cultura ad essere meno autoreferenziale e meno elitario come spesso si atteggia.
ELIO BORGONOVI
Ai posteri, l’ardua sentenza.
In copertina: Credit