TANIA BRUGUERA AL PAC

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Superata la biglietteria vengo accolta da sbarre e, oltre ad esse, una bandiera “europea” contrassegnata da fili spinati, il tutto avvolto da un perfetto white cube. Dove sto entrando?

Una sedia a dondolo vuota al centro, un microfono e il libro Le origini del totalitarismo di Hannah Arendt, in italiano e in spagnolo. 

Quel posto sembra esser mio come di chiunque altro, so già cosa posso fare. È qui forse il nocciolo di tutto: l’attivismo che l’artista, attraverso il testo della filosofa tedesca, mi fa avere nell’ambiente museale, mi rendo conto che potrebbe essere fatto ovunque, con la corretta “alfabetizzazione civica”.

Attivismo, consapevolezza, coraggio, libertà: sembrano essere queste le quattro parole che mi ritrovo davanti guardando l’installazione. Anche se la bandiera di fronte, con le sue parole ben precise “the poor treatment of the emigrants today will be our dishonor tomorrow”, e le sbarre alle mie spalle, vogliono far percepire molto altro.  

Tania Bruguera
Veduta della mostra Tania Bruguera. La verità anche a scapito del mondo. PAC, Milano 2021. Opere: The poor treatment of migrant today will be our dishonor tomorrow, 2021; Donde tus ideas se convierten en acciones civicas (100 horas de lectura de Los Orìgenes del Totalitarismo), 2015-2020. Credits: Sophia Radici.

Una donna si siede, inizia a leggere, rimango ad ascoltare, proseguo. Le sale del PAC cambiano forma, diventando ancora più bianche (come se fosse possibile). Vengo attirata da una figura in fondo al corridoio, vestita di nero. Potrebbe essere un addetto alla sicurezza, penso. No, non può esserlo. Mi avvicino, indago. Mi accorgo che sto oltrepassando tutte le altre installazioni, non importa. Arrivo, so che non devo chiedere, è una questione di sguardi e silenzi. Con gesto fermo apre la tenda grigia alla sua sinistra. Entro nel buio, lui mi oltrepassa con passo sicuro, sa dove sta andando, io no, io sono persa, vulnerabile, in preda a un’attesa che sembra infinita.  

Nell’oscurità si percepiscono rumori, movimenti; Una luce flebile si accende, l’uomo è soltanto un’ombra, si prepara. Un rumore, come di un attrezzo da officina, seguito da un’intensa luce fatta di scintille e un rumore stridente: metallo contro metallo. L’uomo sta smerigliando una scritta, inizialmente si legge appena, poi si figura nella tua testa: “Arbeit macht frei” (Il lavoro rende liberi). Riproduzione 1:1 della nota frase posta sopra l’ingresso del campo di sterminio di Auschwitz (potrebbe essere una frase alternativa al “lasciate ogni speranza voi che entrate” per l’ingresso all’inferno di Dante).

Sta compiendo un lavoro, metodico, preciso, sta pulendo la scritta. Lo fa per tutta la sua lunghezza, andata e ritorno. Il senso di un tale gesto è devastante, sembra voler urlare, come un novello Primo Levi: “ciò è stato” ma non si può mai sapere, un giorno quella scritta potrebbe servire di nuovo, o magari, non ha mai smesso di esser utile

Rimasta in un angolo, impaurita, indietreggiante, aspetto la fine del lavoro (perché è solo un lavoro per lui?), ed esco. 

Tania Bruguera
Tania Bruguera, Plusvalìa, 2010. Credits: Claudia Capelli, PAC.

Il resto sembra quasi superfluo da raccontare. Lo sguardo che fissa il parterre e scende le scale, vede terra sparsa come se fosse avvenuto un combattimento, ma “troppo controllato”.

Tania Bruguera
Veduta della mostra Tania Bruguera. La verità anche a scapito del mondo. PAC, Milano 2021. Tania Bruguera, Sin Tìtulo (Palestina, 2009), 2009-2021. Credits: Claudia Capelli, PAC.
Tania Bruguera, Sin Tìtulo (Palestina, 2009), dettaglio, 2009-2021. Credits: Sophia Radici.

Vago, capendo benissimo cosa sto guardando. Salgo la rampa, entro nelle altre sale: la luce accecante che mi fa perdere la cognizione dello spazio, il mio orecchio che si fa più acuto, sempre più indagatore, la voglia di andarmene. Il numero sulla mia mano, come parte di un gruppo, un gruppo che non ha più nome; l’odore del fieno che pervade le narici e le urla che cercano di portare in vita persone; quella che sembra una barca e che è quasi un resto e che è già monumento

Tina Bruguera, 22,853 (Crying Room), dettaglio, 2018-2021. Credits: Sophia Radici.
Tania Bruguera, Sin Tìtulo (Habana, 2021), 2021. Credits: Claudia Capelli, PAC.
Tania Bruguera, Tabla de salvaciòn, 1994. Credit: Sophia Radici.

Tutto ovattato, tutto dentro di me. Nel mentre sento che le persone, su quella sedia all’ingresso, si sono alternate, le voci cambiano, la pesantezza delle parole mi accompagna e, senza capire ogni parola, mi ricordano il senso profondo della mostra.  

L’intera esposizione potrebbe essere percepita come una performance totale: da una parte con installazioni impattanti, che chiedono la tua presenza e azione; dall’altra opere statiche, ma che, al primo confronto, risvegliano coscienze, mostrando la sofferenza di persone che sembrano confinate in un’altra realtà, un’altra prigione. 

Dunque, non è performance: è un’arte partecipata. Per questo motivo non fai fotografie, video, o qualsivoglia altro. Vivi. Porti con te e al di fuori di te il concetto, cercando di scuotere la tua e l’altrui coscienza con quell’empatia che, troppo spesso, viene segregata dietro solide sbarre.

“Bruguera sovverte i tradizionali criteri della performance art attraverso dei progetti ascrivibili al campo delle pratiche artistiche partecipative, funzionanti cioè solo in presenza di una comunità a scelta. (…) trasformando il linguaggio estetico in uno strumento utile per l’indagine o la risoluzione di problematiche sociali – legate soprattutto ai diritti umani, all’esclusione delle minoranze, alla libertà di espressione, alla coercizione dei sistemi dittatoriali e ai flussi migratori” (Diego Sileo)

Una mostra curata in modo superbo da Diego Sileo, visibile dal 27 novembre 2021 al 13 febbraio 2022, e per cui varrebbe la pena spendere 8€. 

Immagine di copertina: Veduta della mostra Tania Bruguera. La verità anche a scapito del mondo. PAC, Milano 2021. Dettaglio. Credits: Sophia Radici.

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