Di Matthias Favarato
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Come ogni anno, il primo weekend di Novembre, Torino si trasforma nel place to be nel mondo dell’arte contemporanea.
La settimana di Artissima, la fiera di arte contemporanea più importante d’Italia, è un pullulare di fiere parallele (su tutte “Flashback” con il suo equilibrio magico tra stand e allestimento globale), opening (Berlinde de Bruyckere alla Fondazione Sandretto) e mostre in città (“Abstract sex”, la mostra/progetto di Artissima).
Destreggiarsi tra gli innumerevoli eventi nella capitale sabauda è sempre più uno sport olimpico e scegliere cosa vedere e cosa no è ormai un imperativo.
La 26esima edizione della fiera non ha deluso le aspettative, che sono sempre più elevate. La qualità media delle opere presentate dalle oltre duecento gallerie è veramente alta, in tutte le sezioni. Nessun prezzo astronomico, ma tanti pezzi da novanta. Un mix perfetto tra obiettivi di vendita e ricerca curatoriale che rende Artissima una fiera da non perdere (come da non perdere erano le 5 opere che abbiamo selezionato).
L’opera più fotografata, più chiacchierata e più accattivante. L’opera è un memento mori (ergo, “ricordati che devi morire”) dissacrante. Questa volta lo scheletro, tempestato da una coltre di Swaroski, è quello di un cardinale accasciato su una poltroncina rossa di pelle. Tutto è lusso, tutto è vanità, anche il nostro selfie affianco all’opera. Chi urlerà al plagio nei confronti del mitologico teschio di Damien Hirst (For the Love of God, 2007), dovrà invece ricredersi: Nicola Bolla ci arrivò con la prima opera della serie Vanitas ben prima, nel 1997.
I grandi nomi attraggono sempre e Giuseppe Penone non fa eccezione. Si tratta dell’opera più cara in esposizione, arrivando ad oltre un milione di euro, e non passa certamente inosservata. La ricerca artistica di uno dei re dell’arte povera si concentra sul concetto di crescita naturale e di come piccole azioni, anche un semplice tocco, possano alterare lo sviluppo delle cose. Un’opera che parla dei nostri tempi.
La personale che Mazzoleni dedica a Melissa McGill dimostra come una performance complessa quale è “Red Regatta”, possa diventare un’opera d’arte in vendita. I bozzetti, le fotografie e il libro d’artista raccontano le quattro (più una) regate che hanno vestito di rosso la laguna di Venezia nel corso dell’anno. Cinquantadue vele “al terzo” dipinte a mano di altrettante tonalità di rosso, dal rosso Tiziano, al rosso mattone, fino al rosso di pericolo, che sottolinea la delicatezza e la fragilità della città.
Le fiere sono lo specchio di cosa accade nel mondo dell’arte. Per confermare questa massima, Galleria Continua presenta un’opera di Berlinde de Bruyckere, in mostra alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo con un progetto ad hoc. Ad Artissima, invece, un tronco di legno viene trafitto da tre lunghi inserti in ferro. La sofferenza prende una forma inaspettata, trasmessa dalla materia ruvida della corteggia e dalla durezza del ferro e il dolore viene elevato al sublime.
Le opere di Matteo Attruia proposte da Massimodeluca sono irriverenti, dissacranti e provocatorie. Quando i tubi al neon (fin troppo) spesso compongono frasi criptiche e accattivanti, Attruia decide di non piegarlo e di scriverci sopra, ammettendo di non aver nulla da dire. Avviene così un cortocircuito, visto che lo stesso artista ha utilizzato molte volte questo mezzo per giocare con le parole. Appare così sul volto di chi la guarda un sorriso, generato da un gioco mentale a cui noi, spettatori, sottostiamo inconsciamente.